Ilva: l’utilità di un decreto inutile

Ilva operai sindacati

operaioTARANTO – L’ultimo decreto ‘salva Ilva’ approvato giovedì dal Consiglio dei Ministri, è riuscito in un’impresa storica: mettere d’accordo politica, sindacati, associazioni e comitati ambientalisti. La bocciatura sul provvedimento del governo è stata infatti unanime. Fiom, Fim e Uilm parlano di  un “decreto inutile perché non da risposte sulle questione fondamentali come il risanamento degli impianti, il futuro industriale dell’azienda e la tutela della salute di lavoratori e cittadini”. Mentre il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, accusa l’esecutivo “di superficialità”: per il leader di SEL, “abbiamo perso due anni: non vorrei di qui a breve ci andassimo a schiantare”. Il Pd ha invece già annunciato che lavorerà per modificare il decreto in Aula. Corale, invece, la bocciatura delle associazioni: dai Verdi a Legambiente, dal WWF a Peacelink ai “Liberi e Pensanti”, tutti parlano di “decreto scritto dai Riva”. E così via discorrendo.

Probabilmente, la grave crisi finanziaria in cui è precipitata l’Ilva negli ultimi mesi e la sostituzione del commissario straordinario con la nomina di Piero Gnudi al posto di Enrico Bondi, avevano creato sin troppe aspettative e speranze per quel “cambio di passo” che aveva annunciato lo stesso Renzi. E, ancora una volta, registriamo uno stupore generale sinceramente fuori luogo. Ma cosa ci si aspettava? Chissà.

Tra l’altro, a ben vedere, il nuovo decreto ha previsto le uniche due cose attualmente fattibili: prevedere per legge il prestito ponte da parte degli istituti di credito attraverso il meccanismo della prededuzione, che consentirà agli istituti di credito una corsia preferenziale nella riscossione del credito vantato rispetto agli altri debiti contratti dalla società e la revisione dei tempi di attuazione del piano ambientale. Il prestito ponte infatti, consentirà al commissario Gnudi di garantire “l’esercizio dell’impresa e la gestione del relativo patrimonio”: il che vuol dire poter continuare a pagare gli stipendi degli operai e iniziare a saldare i debiti contratti con le ditte dell’appalto e dell’indotto, oltre che quelli con i fornitori. Perché se ancora non fosse chiaro a qualcuno, senza i soldi delle banche, l’Ilva Spa  fallirebbe nel giro di pochi giorni.

Questo perché l’azienda, seppur commissariata dallo scorso 4 giugno, ha ancora una proprietà: la società è infatti controllata per il 61,62% dalla Riva FIRE, per il 25,38% dalla Siderlux (posseduta a sua volta dalla stessa Riva FIRE), per il 10,05% dalla Valbruna Nederland, società olandese della famiglia Amenduni, e per il 2,95% dalla Allbest, un’altra società lussemburghese. E secondo la legge sul commissariamento dell’agosto 2013, al termine dello stesso dovrà ritornare in possesso dei legittimi proprietari: dunque, senza i soldi e l’avallo dei Riva, si può fare ben poco sotto ogni punto di vista.

Ecco perché il governo, attraverso la nomina di Gnudi, tenterà di far entrare nell’azionariato della società quanti più investitori possibili interessati a rilevare la maggioranza delle quote: sia per provare a mettere in minoranza il gruppo Riva, sia per varare l’aumento di capitale previsto dalla legge dello scorso febbraio, che resta l’unica strada realmente percorribile per dare un futuro al siderurgico. Così come è da escludere un intervento diretto dello Stato su un’azienda privata, visto che lo stesso è impedito dalle norme europee. Così come della Cassa Depositi e Prestiti, che ha in più circostanze ribadito di non essere interessata ad entrare nel dossier Ilva. Eppure, si continuano ad invocare interventi in tal senso. Sarà.

Sul fronte ambientale invece, il prestito dovrebbe garantire la liquidità necessaria a far aprire i cantieri per l’avvio dei lavori previsti dal piano ambientale. Ma è chiaro che viste le ingenti risorse necessarie al risanamento degli impianti del siderurgico, che ammontano a svariati miliardi di euro, l’unica strada percorribile fosse quella di posticipare ancora una volta la loro conclusione: entro il 31 luglio 2015 dovranno essere realizzati gli adempimenti scadenti a quella data, nella misura minima dell’80 per cento; entro il 5 agosto 2016 dovranno essere completati tutti gli interventi. Dovrà comunque essere rispettato il termine già fissato dell’8 marzo 2016 per l’applicazione della decisione della commissione 2012/135/UE del 28 febbraio 2012, relativa alle migliori tecniche disponibili (BAT).

Infine, il commissario straordinario entro la fine del 2015 dovrà presentare al ministro per l’Ambiente e all’ISPRA, una relazione sullo stato di attuazione del piano ambientale. Stante così le cose, il no deciso opposto da Edo Ronchi al governo per una nuova nomina come sub commissario, era scontato: l’ex sub commissario, che non si è dimesso in quanto il suo mandato era scaduto lo scorso 15 giugno, ha infatti sempre messo come postulato alla base di una sua eventuale riconferma, la priorità assoluta all’avvio del piano ambientale. Non è un caso se, ancora una volta, viene posticipata la chiusura di AFO 5, che da solo garantisce il 40-45% della produzione dell’Ilva. Se tutto dovesse andare a rotoli, quanto meno resterà in piedi per un anno ancora il più grande altoforno d’Europa. La fine, dunque, pare essere già stata scritta.

Malcontento ha creato anche la decisione del governo, di non prevedere l’utilizzo delle risorse sequestrate al gruppo Riva dalla Procura di Milano, ammontanti a quasi 1,9 miliardi di euro. Decisione in realtà saggia (ed imposta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando) visto che quelle risorse rientrano nell’ambito di un’inchiesta il cui processo deve ancora vedere la luce: veicolarle ed utilizzarle per la bonifica degli impianti prima ancora che i Riva siano condannati in via definitiva, esporrebbe lo Stato ad un sicuro ricorso del gruppo per incostituzionalità. Inoltre, le risorse sono della Riva FIRE e non direttamente dell’Ilva Spa. Motivo per il quale la Cassazione bocciò il sequestro “allargato” ai beni della società deciso oltre un anno fa dal gip Todisco. La risoluzione della vicenda Ilva, è ancora molto lontana. O meglio, è praticamente impossibile. Ma si continua a parlare a vanvera. Contenti voi.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 12.07.2014)

 

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