Ilva, tragedia sfiorata al porto

foto 1 incidenteTARANTO – Soltanto la casualità e la lungimiranza dei lavoratori hanno evitato l’ennesima tragedia all’Ilva. Ieri mattina infatti, Taranto è stata colpita da un “ciclone” che ha investito la parte meridionale del Mediterraneo: molti, in particolar modo al porto, hanno rivissuto i drammatici momenti del 28 novembre 2012, quando un tornado devastò la zona industriale, causando la morte del giovane operaio Francesco Zaccaria, precipitato in mare con la gru nella quale stava operando.

Tra le 7 e le 8 di ieri mattina, il vento ha iniziato a soffiare raggiungendo i 106 km/h. Nel reparto IMA 1 presso il II sporgente del porto, i lavoratori decidono di non salire sulle gru e gli altri mezzi di lavoro. E’ stata una scelta dettata dal buon senso, memori di quanto accaduto quel 28 novembre. Perché come denunciato da molti di loro (insieme al comitato “Cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti”), sono stati avvisati soltanto dall’allerta meteo: dall’azienda infatti, non è arrivato alcun ordine di non salire sulle gru.

Rispetto a quanto avveniva sino al novembre 2012 infatti, l’unica cosa che pare essere cambiata nell’atteggiamento dell’azienda, è una pressione minore nell’obbligare i lavoratori a salire sulle gru anche quando le condizioni meteo inviterebbero a tutt’altra indicazione. Un silenzio, quello di ieri, comunque inaccettabile: che mostra ancora una volta quanta approssimazione vi sia da parte dell’azienda nella gestione dello stabilimento, in un momento in cui l’attenzione dovrebbe essere invece ai massimi livelli, visti i sempre più frequenti problemi riscontrati sui vari impianti del siderurgico a causa della mancata manutenzione degli stessi. E quanto poco sia, ancora oggi, il rispetto per la vita di ogni singolo lavoratore.

Questo, nel dettaglio, quanto accaduto ieri. All’improvviso la gru denominata Dm4, nonostante non fosse in funzione, spinta dal forte vento viene traslata (si mette in movimento da sola) sui binari: ad essa è agganciata la classica benna, lo strumento con il quale viene prelevato il minerale dalle stive delle navi che viene poi depositato sui nastri trasportatori che lo conducono all’interno del siderurgico. La benna, trascinata dalla gru, sul suo percorso incontra e ribalta una pala meccanica sulla quale in quel momento, per fortuna, non opera nessun lavoratore: nella sua folle e incontrollata corsa, la benna travolge anche una recinzione di un cantiere ed un muretto di cemento armato. Il tutto accade in pochi secondi. E, come detto, soltanto per una serie di coincidenze non stiamo scrivendo dell’ennesimo incidente mortale nel più grande siderurgico d’Europa.

foto 2 incidenteCiò detto, è scontato che sulla gru più di qualcosa non ha funzionato. A cominciare dal sistema frenante che in queste circostanze, cioè in presenza di un forte vento, dovrebbe azionarsi automaticamente. Le gru in dotazione al porto infatti, sono dotate di un sistema di blocco con pinze sui binari, che però ieri mattina non ha funzionato. Circostanza che ha mandato su tutte le furie i lavoratori, che hanno avuto un acceso confronto con azienda e sindacati, in quanto la gru in questione era ferma da 4/5 mesi: non solo, perché gli stessi hanno chiesto spiegazioni in quanto la macchina era stata sottoposta ad una serie di controlli da parte di un’azienda esterna all’Ilva, la Ferplast, che opera nel campo della carpenteria meccanica.

Com’è possibile dunque che un mezzo come una gru, sottoposta a controlli e ferma da 4/5 mesi, si ritrovi con il sistema frenante praticamente nullo? Come può una gru di quelle dimensioni essere spostata dal vento, seppur con raffiche oltre i 100 km/h (come si chiede giustamente il comitato “Liberi e Pensanti)? Specialmente dopo quanto accaduto quel 28 novembre 2012? Di chi sono le responsabilità?

Per non parlare della questione delle benne, più volte trattata su queste colonne. La prescrizione n. 5 dell’AIA infatti, prevede l’utilizzo di “Sistemi di scarico per trasporto via mare con l’utilizzo di sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti”, per evitare le emissioni di polveri derivanti dalla movimentazione di materiali presso gli sporgenti 2 e 4 del porto. Inutile dire che, a tutt’oggi, la prescrizione in questione non venga rispettata, come evidenziato dai verbali dei tecnici ISPRA ed ARPA dopo i quattro sopralluoghi effettuati nel corso del 2013 (anche nel verbale dell’ispezione dello scorso dicembre, si legge infatti che l’azienda “non ha trasmesso, entro 30 giorni dalla data di ricezione della diffida del 14/06/13, il progetto esecutivo corredato dal relativo crono programma degli interventi”).

Al momento, la situazione è la seguente: con nota DIR/471 del 19.12.13 è stata comunicata dall’Ilva la messa in funzione presso il IV sporgente della prima “benna ecologica”, al fine “di una sperimentazione (sperimentazione che ci è stata confermata dagli stessi lavoratori) dell’efficacia di tale sistema di contenimento delle emissioni polverulente durante lo scarico dei materiali. È in corso l’approvvigionamento di altre due benne ecologiche la cui installazione è prevista entro il 2014. Inoltre è stato ordinato (n. 24011 del 18.09.13) un nuovo scaricatore continuo a tazze per il II sporgente”. Tanto si legge nella “Relazione Trimestrale – Gennaio 2014” inviata dall’Ilva al ministero dell’Ambiente lo scorso fine gennaio.

La prescrizione n. 5 è presente anche nella “Proposta del piano di lavoro” redatta dal comitato dei tre esperti (oggi chiamato Piano Ambientale, approvato dal Consiglio dei Ministri ma ad oggi non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale). Stando a quanto riportato in quel documento infatti, si legge che nell’alternativa di adeguamento dei sistemi oggi installati pressi i 2 sporgenti di scarico tra benne ecologiche chiuse e sistemi di scaricamento automatico, “dal diretto riscontro sembra preferibile, dal punto di vista della emissione di polveri e dell’agibilità del sistema, la soluzione con benne ecologiche chiuse superiormente con chiusura e manovra automatica”. Gli interventi da eseguire consistono dunque “nella adozione di sistemi di scarico automatici da completare con benne chiuse (ecologiche) da installare negli esistenti scaricatori automatizzati”.

L’Ilva ha effettuato l’ordine per uno di tali sistemi, la cui installazione è avvenuta entro dicembre. Perché è stato inoltrato un solo ordine? Lo si legge nel documento dei tre esperti: “si propone di verificare l’efficacia in termini di performance ambientale e la rispondenza a quanto previsto dalla BAT n. 11, attraverso un confronto con l’ente di controllo”. Dunque, onde “spendere” soldi inutili e sbagliare qualcosa, si ordina un solo dispositivo per vedere se risponde esattamente a quanto prescritto dall’AIA. Non è un caso allora se nel proposta di piano la tempistica di installazione su tutti e 6 gli scaricatori delle benne chiuse (ecologiche) gestite in automatico, nel caso in cui la soluzione venga ritenuta adeguata, è la seguente: scaricatore A aprile 2014; scaricatore B luglio 2014; scaricatore C ottobre 2014; scaricatore D gennaio 2015; scaricatore E aprile 2015; scaricatore F luglio 2015. Ma non finisce qui: perché, si legge sempre nel piano, l’idoneità della previsione impiantistica del sistema di scarico mediante benne ecologiche, deve comunque “trovare supporto nella implementazione delle procedure operative riportate nella BAT n.11 quali abbassamento del punto di scarico, bagnatura del cumulo (non usando acqua di mare), etc”.

Intanto però, mentre si resta in questa specie di limbo permanente, si è rischiato l’ennesimo incidente mortale. Segno evidente di come la manutenzione degli impianti (vedi l’ultimo guasto occorso alla centrale termoelettrica) non sia più rinviabile: il problema però, è sempre lo stesso. L’Ilva non possiede nemmeno le risorse finanziarie per ottemperare a tutti i lavori di manutenzione che ammonterebbero ad una cifra molto vicina al miliardo di euro.

Indi per cui i lavori non vengono svolti e i lavoratori sono lasciati al caso, in quella che da diverso tempo abbiamo definito essere diventata un enorme roulette russa, dove tutto può accadere. Non solo. Perché come accade in presenza di eventi atmosferici come quello verificatosi ieri, continua imperterrita “la dispersione di materiale dai nastri trasportatori finiti su tutta la banchina e in mare”, come denunciato dai lavoratori del porto e dai “Liberi e Pensanti”. Procurando l’ennesimo danno ambientale. All’aria e al mare. Senza soluzione di continuità. 

Gianmario Leone (TarantoOggi, 28.03.2014)

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