Ilva, un’altra diffida nel vuoto

ILVA NUOVATARANTO – Porta la data di martedì l’ultima diffida del ministero dell’Ambiente nei confronti dell’Ilva Spa, a seguito dei controlli effettuati da ISPRA ed ARPA Puglia il 3 e 4 dicembre scorsi. Le evidenze segnalate dai tecnici nel relativo verbale di ispezione, con le relative prescrizioni previste dall’AIA 2012 non rispettate dall’azienda, le pubblicammo lo scorso 18 gennaio su queste colonne. Nel testo della diffida, a differenza di quanto segnalato nel verbale di ispezione, sono tre le prescrizioni non rispettate segnalate all’azienda.

La prima è la n. 49 (che prescrive come “l’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento sia inferiore a 25 g/t coke. Presentare, entro 6 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, un progetto esecutivo per il conseguimento di un valore inferiore a 20 mg/Nm3. Eseguire, con frequenza mensile, il monitoraggio delle emissioni diffuse di polveri da tutte le torri di spegnimento con metodo VDI 2303 (Guidelines for sampling and measurement of dust emission from wet quenching”), di cui ci siamo occupati giorni addietro (dopo la relazione di ARPA Puglia sui fenomeni visivi ed emissivi del 1 gennaio scorso). Nel testo della diffida viene riportato quanto segnalato dai tecnici ISPRA ed ARPA nel verbale d’ispezione, dove si segnala “il perdurare del superamento del valore imposto dall’AIA di 25 grammi per tonnellata. Lo si apprende dalle registrazioni fornite dalla stessa Ilva relative al periodo luglio-settembre 2013. Inoltre, non risultano aggiornamenti per il progetto per ridurre ulteriormente le emissioni”.

I problemi di questa operazione (fisiologica per un siderurgico) sono due, come evidenziammo tempo addietro: il primo è che le torri di spegnimento Ilva non sono dotate di filtri che trattengano il particolato del coke che il vapore trascina con sé. L’unica “limitazione” alle polveri emesse infatti, è “garantita” dalle delle così dette “persianine”, che altro non sono che delle sporgenze interne alle torri, su cui la polvere “dovrebbe” depositarsi. Secondo: l’Ilva non è dotata dello spegnimento a secco del coke (“dry quenching”) che viene utilizzato in diversi impianti siderurgici europei, che consente da un lato un notevole risparmio energetico e dall’altro l’eliminazione delle nubi di vapore che portano con se il particolato del coke. L’ARPA, nel corso del processo istruttorio della commissione IPPC di riesame dell’AIA, aveva proposto di esaminare la possibilità di adozione di tale procedimento: ma il suggerimento non fu accolto.

Nella relazione redatta un paio di settimane fa (pubblicata su queste colonne lo scorso 7 marzo), ARPA evidenziava che “per quanto riguarda i dati della rete della qualità dell’aria dell’Ilva, si è avuto un incremento degli inquinanti Black Carbon (particolato carbonioso) e Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) intorno alle 20 della serata dell’1/01/14 e la mattina del 02/01/14 intorno alle 7 nelle centraline di Tamburi e Parchi”.

In quel verbale poi, i tecnici ARPA evidenziavano un altro aspetto di non poco conto: “Riguardo al fenomeno meteorologico osservato, si fa presente che, per tentare di interpretarlo sarebbe necessario disporre ora per ora di una caratterizzazione delle condizioni meteorologiche lungo la verticale che solo i profilatori e/o i sondaggi ci possono dare. Purtroppo a Taranto attualmente non si dispone di queste informazioni”. Dunque, questo vuol dire soltanto una cosa: che nel 2014 siamo ancora lontani dal poter avere una visione a 360° di quanto avviene nell’aria-ambiente. E che ancora oggi i mezzi dell’ARPA sono alquanto limitati.

Nella diffida si segnala anche il mancato rispetto della prescrizione n. 70 (secondo punto), nella parte relativa alla eliminazione del fenomeno di “slopping” tramite interventi di natura gestionale. Lo scorso 15 novembre l’Ilva dichiarava di aver ultimato l’intervento di implementazione su tutti i convertitori del nuovo sistema ISDS, come evoluzione del sistema RAMS finalizzato alla prevenzione dei fenomeni di “slopping”. ISPRA ed ARPA però, segnalavano come “permanga ancora inevasa la richiesta del protocollo operativo del nuovo sistema RAMS (come peraltro già evidenziato dalla diffida del 14 giugno scorso)”.

Soltanto tra febbraio e dicembre 2012, si verificarono ben 240 fenomeni di “slopping” nelle due acciaierie. Dal verbale dell’ultima ispezione, si apprende anche che “sono stati analizzati alcuni episodi anomali nel periodo che va dal 1 settembre all’11 novembre 2013: gran parte degli episodi di emissioni anomale dal tetto delle acciaierie (oltre l’80%), hanno avuto luogo tra le ore 20 e le ore 6 del mattino. Di 21 eventi di emissione straordinaria, ben 17 hanno avuto luogo in quell’intervallo di tempo: in pratica quando, venuta meno la luce del giorno, è pressoché impossibile osservarli ad occhio nudo”. A tal proposito è stata richiesta all’Ilva una relazione di approfondimento (che non è chiaro se sia stata fornita o meno) soprattutto sulle cause tecniche ed ambientali che hanno provocato tali eventi, corredata da una quantificazione degli effetti ambientali.

Tutto ciò detto, anche quest’ennesima diffida non avrà alcun effetto. Perché a tutt’oggi non è stato ancora approvato il piano ambientale, che ha previsto la rimodulazione tempistica delle prescrizioni AIA. Dunque il non rispetto viene segnalato su una tempistica “vecchia”. Il governo con la legge n. 6 del 6 febbraio scorso ha infatti chiarito che “la progressiva adozione delle misure” (prevista dalla legge 89 del 4 agosto) è intesa nel senso che la stessa è rispettata se la qualità dell’aria nella zona esterna allo stabilimento “non abbia registrato un peggioramento rispetto alla data di inizio della gestione commissariale” e se “alla data di approvazione del piano, siano stati avviati gli interventi necessari ad ottemperare ad almeno l’80% del numero complessivo delle prescrizioni”.

Inoltre le sanzioni riferite ad atti imputabili alla gestione precedente al commissariamento, ricadranno sulle “persone fisiche che abbiano posto in essere gli atti o comportamenti”, i Riva, e non saranno poste a carico dell’impresa commissariata “per tutta la durata del commissariamento”: dunque, nel caso l’azienda ritorni al gruppo lombardo, saranno i Riva a farsene carico. Sia di quelle che saranno eventualmente erogate dal ministero dell’Ambiente, sia quelle che arriveranno dal Prefetto. Ammesso e non concesso che quel giorno l’Ilva sia ancora un’industria con gli impianti in produzione.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.03.2014)

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