TARANTO – Ebbene sì, lo ammettiamo: ci eravamo illusi che il 2014 potesse iniziare sotto un’altra luce. Ed invece, la sera del 1 gennaio, Taranto è stata avvolta da una cappa di nuvole, umidità e vapore tanto per ricordarle che il cambiamento tanto agognato è ancora molto lontano. E così, al levarsi di enormi colonne di vapore dall’Ilva, è scattata l’ennesima psicosi collettiva a ritmo di foto e video sui social network, dove i soliti cattivi maestri si divertono ad aizzare cittadini ignari di ciò che realmente accade all’interno ed all’esterno del siderurgico. Evitando tra l’altro in maniera alquanto discutibile di allegare alla legittima e puntuale denuncia, la dovuta spiegazione del fenomeno con relativo approfondimento. Si parte lancia in resta per l’ennesima crociata, con direzione biforcuta: da un lato la Procura dall’altro Bruxelles, sede della Commissione Europea. Eppure, così agendo, il presunto diritto ad “informare” i cittadini invocato da più parti in questa città, si tramuta in un fenomeno comunicativo di massa di dubbia valenza.
L’origine del vapore, la cokeria e quanto prevede l’AIA
Ciò detto, “lo sporco lavoro” di informare qualcuno lo deve pur fare. Dunque, tanto solo per incominciare, sarebbe forse il caso di spiegare ai cittadini di Taranto cosa hanno “ammirato” la sera del 1 gennaio: così, tanto per darci delle coordinate. Siamo nel reparto “Cokeria” dell’Ilva, dove avviene il processo di produzione del coke che si articola in diverse fasi, tutte ad alto potenziale inquinante sia per i lavoratori che per l’ambiente e i cittadini. La cokeria è composta da forni costituiti da una serie di celle rivestite internamente di mattoni refrattari silicei o silico-alluminosi, disposte l’una di fianco all’altra in batteria. Le celle hanno una forma stretta e allungata; sono larghe grosso modo 0,40/0,60 m, alte 4/6 m e profonde 10/16 m. Il carbone fossile viene chiuso ermeticamente nelle celle che vengono riscaldate dall’esterno con le fiamme di un gas che brucia nell’intercapedine tra una cella e l’altra.
Il carbone rimane nelle celle alla temperatura di 1200/1300 °C per un tempo di 14/15 ore, durante il quale si libera di buona parte dello zolfo e delle materie volatili e acquista quelle caratteristiche di porosità e resistenza meccanica necessarie per il suo successivo utilizzo nell’altoforno. Questa era una doverosa premessa per capire di ciò di cui stiamo parlando. Le emissioni a cui si è assistito il 1 gennaio, sono infatti dovute alla fase di “spegnimento del coke”. Il coke raccolto nel carro di spegnimento, movimentato da un locomotore, viene portato verso la torre di spegnimento. Per effetto dell’acqua versata, il coke subisce un drastico raffreddamento passando da una temperatura di circa 1000 °C a quella prossima alla temperatura ambiente. Parte dell’acqua versata sul coke viene recuperata (previa decantazione del polverino di coke) e riutilizzata nei cicli successivi di spegnimento. Il vapore che si genera in tale processo viene diffuso in atmosfera mediante un’apposita torre che rappresenta la fonte di emissione in atmosfera: in pratica ciò che è accaduto anche lo scorso 1 gennaio. E che accade diverse volte nell’arco di ogni singola giornata da decenni.
Ma non si pensi che tale processo non sia normato: tutt’altro. Per questa operazione, la prescrizione n. 49 dell’AIA riesaminata nell’ottobre del 2012, recita testualmente: “Si prescrive all’azienda che l’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento sia inferiore a 25 g/t coke. Si prescrive, altresì, di presentare, entro 6 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA, un progetto esecutivo per il conseguimento di un valore inferiore a 20 mg/Nm3. Si prescrive all’azienda di eseguire, con frequenza mensile, il monitoraggio delle emissioni diffuse di polveri da tutte le torri di spegnimento con metodo VDI 2303 (Guidelines for sampling and measurement of dust emission from wet quenching)”.
Data di scadenza per la consegna del progetto, 24 aprile 2013: termine che ovviamente non è stato rispettato. Tant’è vero che nel verbale di verifica dell’attuazione delle prescrizioni AIA redatto dall’ISPRA dopo la terza ispezione avvenuta il 10 e 11 settembre dello scorso anno, si legge che “in base alle registrazioni fornite da Ilva e relative al periodo aprile-giugno 2013, sono state riscontrate emissioni di particolato, in alcuni casi superiori a 25 g/t coke, per le torri di spegnimento n.4 e n.5, asservite alle batterie 7-8, sia per le torri n.6 e n.7, asservite alle batterie 11-12, attualmente in funzione”. L’inosservanza è stata accertata con nota ISPRA (prot. 37866) del 25 settembre 2013 e recepita dall’ulteriore diffida del Ministero (con prot. DVA-2013-23937 del 21/10/13). Infine (con prot. 42804 del 24/10/13) il tutto è stato notificato a Ilva con il verbale di violazione amministrativa.
I problemi di questa operazione fisiologica per un siderurgico, sono due: il primo è che le torri di spegnimento dell’Ilva non sono dotate di filtri che trattengano il particolato del coke che il vapore trascina con sé. L’unica “limitazione” alle polveri emesse infatti, è “garantita” dalle delle così dette “persianine”, che altro non sono che delle sporgenze interne alle torri, su cui la polvere “dovrebbe” depositarsi. Secondo problema: l’Ilva non è dotata dello spegnimento a secco del coke (“dry quenching”) che viene utilizzato in diversi impianti siderurgici europei, che consente da un lato un notevole risparmio energetico e dall’altro l’eliminazione delle nubi di vapore che portano con se il particolato del coke. ARPA Puglia, nel corso del processo istruttorio della commissione IPPC di riesame dell’AIA, aveva proposto di esaminare la possibilità di adozione di tale procedimento: ma il suggerimento, nemmeno a dirlo, non fu accolto. Ciò detto, quanto accaduto il 1 gennaio ha avuto grande eco soprattutto perché la giornata è stata molto coperta, con una media di umidità nell’aria del 91% ed un vento pressoché nullo (velocità media di 6 km/h). Purtroppo, c’è chi si diverte a “terrorizzare” un’intera città. Senza peraltro prendersi la briga di spiegare cosa sta effettivamente accadendo, quali sono i problemi e quali gli effettivi rischi. Si fa terrorismo puro ipotizzando addirittura che i tarantini siano vittime di “esperimenti chimici a loro insaputa”. Ovviamente, ancora una volta si fa il gioco di colui che dovrebbe essere il “nemico”. Che viene chiamato sul terreno della disputa dialettica dove spesso, proprio per quanto di cui sopra, vince senza troppi problemi. Inoltre, dati delle centraline ARPA del 1 gennaio non hanno segnalato superamenti per gli inquinanti monitorati. E come detto il clima di quella giornata ha favorito i fenomeni visivi che ha inquietato molti cittadini. Ciò detto, preghiamo l’Ilva di astenersi dall’emettere comunicati stampa che hanno le sembianze di veri e propri bollettini meteo. Piuttosto, fornisca all’ARPA e ai cittadini, i dati sulle emissioni delle torri di spegnimento da dove viene emesso il vapore. Se li hanno e se li conoscono. Altrimenti è gradito il silenzio.
Gli IPA e i valori “sballati”
Come detto, sulla previsione di un 2014 diverso, abbiamo toppato in pieno. Perché all’evento emissivo del 1 gennaio, si è aggiunta l’ennesima polemica sui dati ambientali tra ARPA Puglia e un’associazione ambientalista cittadina. Motivo del contendere i valori degli IPA, i famosi idrocarburi policiclici aromatici, negli ultimi mesi del 2013: che per ARPA non rappresentano alcun pericolo, mentre per gli ambientalisti sì. Ci permettiamo una piccola intromissione nella vicenda, in quanto ci ricorda molto da vicino quanto accaduto in merito alla polemica sul numero dei tarantini esenti dal ticket con il codice 048, quello relativo alle patologie tumorali. Questo perché il dato fornito dall’associazione ambientalista, riguarda i valori totali degli IPA (che possono provenire sia da fonti naturali, sia da fonti antropiche, essenzialmente sistemi di riscaldamento domestico, traffico veicolare e processi industriali). E’ bene ricordare che vari IPA sono stati classificati dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) come “possibili cancerogeni per l’uomo”, e il benzo(a)pirene è stato recentemente (2008) inserito nella categoria 1 come “cancerogeno per l’uomo” e assunto al ruolo di “marker” (marcatore) degli IPA. Per ARPA invece, il valore totale degli IPA è puramente descrittivo (tra l’altro il valore assoluto di IPA non è normato, a differenza invece del benzo(a)pirene il cui valore obiettivo è di 1 ng/m3 calcolato come media su un anno civile, limite peraltro superato nel 2008, 2009, 2010 e 2011) : ciò che interessa è infatti andare a scovare la percentuale di benzo(a)pirene presente nell’aria e soprattutto se esso sia conseguenza della produzione dell’Ilva, come peraltro è stato ampiamente dimostrato dalla stessa ARPA attraverso la Relazione Preliminare del 4 giugno del 2010.
Piccolo esempio: nel periodo che va dal 23/02/09 al 05/03/09, nel rione Tamburi e con vento calmo, ARPA registrò 689,16 ng/m3 di IPA totali, nei quali vi era 1,76 ng/m3 di presenza di benzo(a)pirene. Altro esempio. Nel 2011 viene pubblicato uno studio di ricerca “Inquinamento atmosferico a Mottola: prima valutazione degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA)”, dal “Gruppo di Lavoro di Avamposto.Educativo”. Obiettivo della ricerca una “prima valutazione del livello da inquinamento da IPA a Mottola, attraverso le misure fatte nelle diverse postazioni prese in esame, a sviluppo di una sensibilità e un’attenzione alle problematiche che minano il benessere del proprio territorio”. Il campionamento fu eseguito tra le ore 17 e le 19 del 28.09.2011, “intervallo di tempo dove il traffico urbano è in genere sostenuto”. Le condizioni meteorologiche desunte dai bollettini meteo, riportarono una temperatura tra i 19 e 23°C, vento NNE moderato (velocità tra 12 e 25 km/h). Furono scelti per il campionamento esterni nell’atmosfera, sei siti ritenuti significativi e l’operazione si svolse con l’analizzatore “EcoChem Pas 2000 CE”, donato ed utilizzato tutt’oggi dall’associazione ambientalista tarantina in polemica con ARPA Puglia.
La scala di riferimento fu costruita assumendo come riferimento, in prima approssimazione, la concentrazione di benzo(a)pirene più sfavorevole pari a 100 ng/m3. Il monitoraggio avvenne anche all’interno ed all’esterno di un appartamento. Le conclusioni della ricerca furono le seguenti: “il tipo di inquinamento è essenzialmente dovuto al traffico auto veicolare, non sono pensabili altre fonti quali gli impianti di riscaldamento. Non è ipotizzabile un effetto della zona industriale di Taranto in quanto intorno alle ore 15,30 sono state fatte delle misure sulla statale 100, costeggiando l’Ilva, dalle quali emerge un valore medio di IPA pari a 34 ng/m3. La concentrazione di IPA, nelle situazioni di traffico peggiori riscontrate – vedi Bivio Mottola – raggiunge valori elevati con punte di 790 ng/m3. In queste situazioni è importante essere sopravento perché i valori possono rientrare nell’intervallo di accettabilità. Le osservazioni per gli ambienti chiusi, portano a dire che, in assenza di fonti interne di inquinamento, si può pensare alla diffusione degli inquinanti atmosferici tra fuori e dentro i locali, in tali situazioni sarebbe utile un opportuno ricambio di aria”. Ogni altro commento appare superfluo. Un dato totale di per sé, lo ripetiamo ancora una volta, quasi sempre non ha alcuna valenza scientifica. Men che meno epidemiologica.
La lezione dell’alga “Noctiluca scintillano”
Infine, giusto per chiudere in bellezza, giovedì 2 gennaio è stato il turno del “mare rosso” nei pressi di Lama. Immediata la diffusione sui social network delle foto, così come l’allerta agli enti preposti al controllo. Un bell’esempio di cittadinanza attiva. Se non fosse che il tutto viene immediatamente rovinato dai soliti sapientoni di turno, che prim’ancora di conoscere quanto dichiarato dalla Capitaneria di Porto ed il responso delle analisi di ARPA Puglia, gridano all’ennesimo scempio ambientale (“a Taranto il mare è improvvisamente diventato di color rosso ruggine”) dovuto alla grande industria, pur essendo lontano diversi chilometri dai siti in questione. Addirittura viene ipotizzato, anche a livello nazionale, che si tratti di una nave che dopo aver scaricato minerale ferroso all’Ilva, abbia ripulito la stiva avvicinandosi alla costa. Apriti cielo: inizia la solita “rivoluzione virtuale” con frasi a volte irripetibili. Una furia cieca, quasi assassina.
Poco dopo però, arriva il comunicato ufficiale della Capitaneria di Porto, che esclude un inquinamento dovuto ad idrocarburi, attribuendo l’origine dell’evento alla presenza in acqua di particolari alghe. Ovviamente, parte il solito dileggio da parte di decine di ignoranti e presuntuosi, sol perché non è stata confermata la tesi dell’inquinamento di natura industriale. Proprio ieri però, ARPA Puglia ha diffuso i risultati delle analisi sui campioni prelevati in mare: “la presenza di una estesa chiazza di colore rosso che si è creata nelle acque antistanti la scogliera di Lama, a Taranto, è dovuta alla presenza della microalga dinoflagellata ‘Noctiluca scintillans’: è escluso un inquinamento in atto dovuto allo sversamento di idrocarburi”. A corroborare la tesi delle alghe, è intervenuta anche l’associazione “Mare per sempre” che ha dichiarato come queste esplosioni algali non siano rare sulle coste tarantine specialmente nei mesi invernali. La risalita repentina dei nutrienti data dalle correnti marine profonde e le condizioni meteo marine “facilitano questi fenomeni ai più sconosciuti. Quest’anno il fenomeno è stato più visibile date le buone condizioni del mare”.
Questi episodi, soprattutto sulle coste dell’Adriatico sono molto frequenti: lì non si allarmano e non gridano allo scandalo. Tra l’altro, se la “fioritura” della Noctiluca scintillans dona all’acqua un intenso color rosso-arancio di giorno, di notte le chiazze di mare interessate dalla sua massiccia presenza letteralmente risplendono: il vero fascino della Noctiluca infatti si apprezza soprattutto di notte. Questo organismo, a cavallo tra il mondo vegetale e quello animale, ha infatti il dono della bioluminescenza, ovvero la capacità di trasformare l’energia chimica in energia luminosa. Inoltre, la noctiluca è totalmente innocua per gli esseri umani. Chiedetelo ai pescatori tarantini che la scorsa notte hanno potuto ammirare in quel punto di Lama, un mare blu fosforescente. Un vero spettacolo notturno, dovuto ad un incredibile fenomeno della natura. Noi, invece, di spettacolare abbiamo soltanto le figuracce che continuiamo a collezionare. Chapeau. E buona Befana a tutti. Quest’anno più di qualcuno si merita un bel po’ di carbone. Senz’offesa, s’intende.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 4.1.2014)
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