Vestas, lavoratori scettici

TARANTO, 18-02-2011 VEDUTE VESTASTARANTO – I sindacati metalmeccanici, che a queste latitudini di “medaglie” in fatto di tutela dei lavoratori ne hanno conquistate parecchie, nella giornata di ieri hanno incontrato in assemblea gli addetti della Vestas Nacelles, per spiegare loro nel dettaglio la bozza di accordo sottoscritto con l’azienda danese nel vertice di lunedì a Roma al ministero dello Sviluppo economico.

Un’intesa di massima, che su queste colonne abbiamo immediatamente bocciato, che deve ancora ottenere i crismi dell’ufficialità: dunque, parlare di vertenza risolta o addirittura di posti di lavoro “salvati” è alquanto rischioso. Del resto, festeggiare la chiusura definitiva del cuore produttivo della Vestas a Taranto (nel sito Nacelles venivano prodotte le turbine V90 oramai non più richieste dal mercato), perché è di questo che si tratta, lascia alquanto basiti. Per i “capricci” del colosso danese, che produce le turbine V112 a Leòn in Spagna ad un costo del lavoro e produttivo più vantaggioso, dal 1 gennaio 2014 sarà scritta la parola fine alla storia di una fabbrica e dei suoi lavoratori. I quali saranno sparpagliati un po’ qui e un po’ là, con tanti saluti alla loro professionalità ed ai loro sacrifici. Oltre che ai legami e alle amicizie nate in fabbrica giorno dopo giorno.

E sì, perché “l’accordo” raggiunto a Roma lunedì, come riportato nei giorni scorsi prevede che dei 127 lavoratori del sito Nacelles, 8 saranno ricollocati da subito e 30 nel mese di febbraio per giungere ad un ulteriore ricollocazione di 60 lavoratori nelle altre due unità produttive della Vestas esistenti a Taranto (Blades e Italia), previo percorso formativo, per la produzione delle pale eoliche e per la manutenzione degli impianti. Ad altri 30 lavoratori invece, l’azienda offrirà la possibilità di ricollocazione in attività industriali già esistenti in Europa. Ma come evidenziato ieri in assemblea (cosa che ha creato diversi malumori nei lavoratori), i criteri per stabilire chi sarà ricollocato da subito, chi a febbraio e chi in seguito ai corsi di formazione sovvenzionati dalla Regione Puglia (che ha messo sul piatto 1 milione di euro), non sono ancora stati decisi. Anche perché, come da prassi, l’accordo dovrà comunque ricevere il voto dei lavoratori. Le cui procedura di mobilità sono state trasformate in cassa integrazione guadagni per 12 mesi prorogabili per altri 12 per cessazione di attività.

Così come dovrà essere messo nero su bianco da parte della Vestas, il piano industriale nel quale sarà inserito l’impegno preso dall’azienda durante il vertice di Roma, ovvero l’investimento di 9,5 milioni di euro sullo stabilimento Vestas Blades (dove saranno prodotte le pale eoliche della turbina V112) per trasformarlo in “centro di eccellenza per tutta l’Europa”.

Dunque, al momento, hanno vinto soltanto l’azienda (e i suoi interessi economici). Che ha imposto la chiusura del sito Nacelles, dopo aver usufruito per anni e anni del lavoro degli operai tarantini che hanno consentito all’azienda di chiudere ogni anno il bilancio con il segno “+”. Il ricatto occupazionale, quindi, non è soltanto quello dell’Ilva e della famiglia Riva. “Prima di tutto il lavoro”; “L’alternativa erano 127 licenziamenti”; “Il sindacato considera estremamente importante aver raggiunto questo accordo perché è la dimostrazione che con la lotta e l’unità dei lavoratori si può difendere l’occupazione e il mantenimento dell’industria in Italia”, si afferma.

Ma di quale lavoro parliamo? Questo modo di “concertare” è destinato a perdere, sempre. Lottare per i propri diritti, cosa che i lavoratori hanno dimostrato di saper ancora fare quando si auto-organizzano, è soltanto un lontano ricordo per i sindacati. Perché barattare un licenziamento di massa con cassa integrazione, ipotesi di ricollocazione, dislocazione in giro per l’Europa e obbligo a formarsi per un nuovo lavoro lasciando per sempre nel dimenticatoio quello imparato ed affinato negli anni, non può essere considerata una vittoria.

Se si abdica alla lotta quotidiana per la difesa dei propri diritti e di quelli altrui che si dovrebbero difendere per Statuto, l’azienda (privata o di Stato che sia) vincerà sempre. Tanto i sindacalisti, il loro “lavoro”, di certo non lo perdono. Né ora, né mai. Fanno carriera (e grazie a Taranto e all’Ilva di casi ne conosciamo parecchi) o si riciclano, come i politici. “Anche se la colpa è al 99% del padrone, se c’è un 1% che ci riguarda, è su questo che io voglio lavorare” (Giuseppe Di Vittorio, Cerignola, 11 agosto 1892 – Lecco, 3 novembre 1957). Ma questa è un’altra storia. Purtroppo.

 G. Leone (TarantoOggi, 14.11.2013)

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