Un progetto contro i vel…Eni

TARANTO – “Costruire con i tarantini una comunità per fronteggiare le molestie olfattive”. Questo il fantasioso e accattivante titolo del progetto che sarà presentato nel lunedì pomeriggio 15 luglio alle 16 presso l’ex caserma Rossarol (via Duomo, 276 – nel Borgo Antico), promosso dall’Università degli Studi di Bari e da ARPA Puglia. L’incontro ha l’obiettivo “di dare una risposta concreta alle segnalazioni di odori sgradevoli e dannosi da parte dei cittadini di Taranto consentendo nel contempo di ottenere informazioni scientificamente fondate sulla provenienza e la consistenza di tali emissioni odorigene. In tale sperimentazione verranno coinvolti i cittadini interessati alla problematica”.

L’incontro vedrà i saluti del sindaco di Tarano Ippazio Stefàno, di Corrado Petrocelli Rettore Università degli Studi di Bari e di Antonio Felice Uricchio Direttore del Dipartimento Jonico in Sistemi Giuridici ed Economici del Mediterraneo, Società Ambiente e Culture, Università degli Studi di Bari, e di Giorgio Assennato, Direttore Generale di ARPA Puglia. Interverranno Gianluigi De Gennaro, Università degli Studi di Bari, Roberto Giua, ARPA Puglia e Michele Conversano, Direttore Dipartimento di Prevenzione ASL Taranto, presidente Società Italiana di Igiene. Un parterre di tutto rispetto, dunque.

Certo è che appare davvero fuori luogo tutto questo trambusto scoppiato improvvisamente nell’ultima settimana intorno all’Eni. Lungi da noi voler difendere la raffineria e le sue attività industriali, teniamo soltanto a ricordare che da diversi anni l’ARPA Puglia certifica che le famose “emissioni odorigene” che ammorbano l’aria di Taranto, siano dovute alle attività dell’Eni. Soltanto nel mese di maggio, accadde cinque volte (sempre addebitati all’Eni). In due casi l’ente regionale per la protezione ambientale sostenne che gli eventi erano dovuti alla fermata ed alla ripartenza di un impianto dell’Eni, denominato RDS1 (di cui la direzione dello stabilimento di Taranto aveva avvisato per tempo la stessa ARPA).

L’impianto è impiegato per la desolforazione catalitica di gasoli e kerosene, ed in termini emissivi è definito come mediamente emissivo e può generare emissioni diffuse/fuggitive di VOC (composti organici volatili) come descritto nel provvedimento di AIA. Come ripetiamo da anni e certificato da ARPA, il problema è l’H2S (meglio conosciuto come idrogeno solforato). Tutte le volte che interi quartieri della città sono stati investiti dall’odore nauseabondo di gas nell’aria, le centraline di rilevamento aria/ambiente hanno sempre registrato picchi di concentrazione di H2S, la cui diffusione è compatibile con la diffusione di composti odorigeni provenienti dagli impianti della raffineria.

Un analizzatore in continuo ad alta risoluzione temporale di H2S è tra l’altro in funzione presso la centralina situata in via Archimede nel rione Tamburi. E’ bene inoltre ricordare che il solfuro di idrogeno, composto dello zolfo molto odoroso anche a basse concentrazioni, non ha un limite di legge per la concentrazione in aria/ambiente ed è monitorato in quanto utilizzato come tracciante di una miscela odorigena. In corrispondenza dei valore di 7 ng/m3 (valore che si può assumere come soglia odorigena) la quasi totalità dei soggetti esposti ne distingue l’odore caratteristico. Non è un caso infatti se l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), per fastidi dovuti ad odore sgradevole di H2S stabilisce che le concentrazioni da non superare sono di “7 µg/m3 per un tempo medio di esposizione pari a 30 minuti”. Per farsi un’idea del perché a Taranto non viene rispettata nemmeno un’indicazione di massima dell’OMS, ricordiamo che la centralina ENI 3, situata al confine con l’ex ospedale “Testa” e rivolta in direzione della città, alle 14 del 12 maggio ed alle 20 del 13 maggio scorso, rilevò livelli di H2S pari a 69 ng/m3: ovvero ben 6 volte il valore limite della soglia olfattiva.

Il solfuro di idrogeno è un veleno ed è anche mortale per l’uomo. Agisce inibendo la respirazione mitocondriale, pertanto la sua azione tossica riguarda tutte le cellule del corpo che sfruttano il metabolismo aerobico (tutte eccetto i globuli rossi); la caratteristica più pericolosa a medio-alte concentrazioni è la capacità di inattivare la percezione sensoriale olfattiva: l’unico campanello d’allarme per la sua presenza nell’aria è proprio l’olfatto. A basse concentrazioni produce irritazione delle mucose, iperventilazione ed edemi polmonari, e l’esposizione prolungata comporta affaticamento cronico, inappetenza, cefalea, disturbi cognitivi e della memoria. Proprio ciò di cui soffrono decine di tarantini ogni qual volta la città viene invasa dal gas.

Lo scorso 4 luglio in Commissione Ambiente e il 10 luglio, l’Eni ha negato ogni addebito in merito a tali eventi emissivi. Eppure anche la letteratura scientifica ha stabilito che “la liberazione in grandi quantità dell’acido solfidrico avviene principalmente nei cicli produttivi della raffinazione del petrolio”. Ciò detto, come potranno mai i tarantini “fronteggiare” queste molestie olfattive? Magari iniziando a vivere muniti di una maschera anti-gas? Del resto, abbiamo già sottolineato come sia pressoché impossibile eliminare tali fenomeni. A meno che l’Eni non cessi le sue attività e non abbandoni il nostro territorio. Ma questa è un’altra storia. Che sicuramente non troverà spazio nell’incontro di lunedì. Ad maiora.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 13.07.2013)

 

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