Ilva, “serve l’aiuto dello Stato”

TARANTO – Per il risanamento degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto e per la totale applicazione dell’AIA, servirà anche l’intervento finanziario dello Stato. E’ un qualcosa che sosteniamo da tempo, visto e considerato che l’Ilva Spa non possiede le risorse per sostenere un impegno economico di svariati miliardi di euro e che la Riva FIRE, oggi Riva Forni Elettrici, si è totalmente disimpegnata dalla gestione del siderurgico e della sua messa a norma, non prima di aver messo al sicuro nelle holding offshore situate tra Lussemburgo, Olanda e Caraibi, i miliardi di euro guadagnati in 18 anni di gestione privata. E che la strada porti ad un prossimo intervento dello Stato, lo dimostra anche la discrepanza registrata dalle analisi fornite dal commissario dell’Ilva Enrico Bondi (che sulla carta è ancora ad dell’azienda seppur dimissionario) e dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, in merito alle risorse finanziarie da utilizzare da qui al 2015.

Il primo ha infatti sostenuto che l’impegno finanziario dell’Ilva per l’attuazione dell’AIA per il triennio 2013-15, sarà di non più di 1,8 miliardi di euro. Per il ministro invece, ci vorranno non meno di 3,5 miliardi. La differenza, come riportato ieri su queste colonne, è di 1,7 miliardi. Prendendo per buona la somma prevista dal ministero dell’Ambiente, visto che per i periti della Procura di Taranto ce ne vorrebbero almeno 8 di miliardi. E secondo i sindacati, che ieri hanno sfilato nelle audizioni delle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera in merito alle consultazioni sulla vicenda Ilva, le risorse finanziarie mancanti dovranno arrivare attraverso l’intervento dello Stato. Per far sì quindi che l’AIA sia applicata sino in fondo utilizzando le migliori tecnologie e che la sua applicazione debba essere monitorata passo dopo passo, “non si deve escludere un sostegno temporaneo pubblico, che non significa nazionalizzazione”.

Questo il pensiero del segretario confederale della Cgil, Elena Lattuada e del segretario della Fiom Maurizio Landini. Ancora più esplicito è stato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, che ha dichiarato come il decreto legge varato dal governo lo scorso 4 giugno è nient’altro che “una toppa, che funzionerà per qualche mese, fino a quando ci saranno i soldi, poi lo Stato dovrà intervenire, se ne dovrà fare una ragione”. Anche perché il buon Angeletti non riesce proprio a spiegarsi “come sia possibile che i Riva o altri possano fronteggiare la crisi del mercato e la necessità di adeguare gli impianti all’AIA”. Ciò detto, visto che siamo in tempo di proposte, una l’avanziamo noi: perché i sindacati, che negli anni hanno guadagnato soldi a palate sia dalle tessere sindacali degli operai che dalla gestione del circolo Vaccarella, non mettono su una bella colletta in modo tale da “aiutare” Enrico Bondi nel reperire le risorse necessarie per finanziare i lavori previsti dall’AIA? Tanto, visto e considerato che nelle casse italiane della Riva FIRE e della Riva Forni Elettrici non sono stati trovati più di 395mila euro, siamo sicuri che i fondi dei sindacati italiani possano garantire risorse ben superiori.

Infine, almeno per una volta il governatore Vendola e il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, ci hanno risparmiato le solite poesie ed amenità varie, chiedendo in audizione “maggiore partecipazione degli enti locali ai processi decisionali” che riguardano l’Ilva e una deroga per le assunzioni nella sanità e all’ARPA Puglia. Sono state queste le due richieste presentate dal Sindaco, che ha dichiarato che “mancano 2.000 unità nella nostra ASL”, e che per questo occorra assumere nuovo personale perché “non dobbiamo diventare emigranti anche per cercare salute”. Peccato che lo siamo già da decenni. Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire. Sperando soltanto che alla fine di tutta questa vicenda, ci sia ancora qualcuno in grado almeno di sperare.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 25/06/2013)

 

 

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