Ilva, nostro salvatore Bondi

TARANTO – “Se l’azienda e l’attività dovessero fermarsi, nessun governo troverà le risorse per risanare e quell’area rimarrà da bonificare”. Questo il nuovo teorema pronunciato dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando parlando dell’Ilva di Taranto, durante un Forum del Pd sui temi ambientali svolto nella giornata di sabato. Esprimendosi in questi termini però, il ministro non si accorge, ma è più credibile che non sappia, di andare in senso nettamente contrario a quanto stabilito dalla Procura di Taranto, che nell’ordinanza dello scorso luglio ordinò all’azienda di fermare gli impianti inquinanti dell’area a caldo, risanarli e poi, previo controllo dei lavori effettivamente svolti, riprendere l’attività produttiva.

Procedimento che è sempre stato avversato dall’azienda, così come dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini (e direttore generale del ministero da oltre 20 anni con il rilascio della nuova AIA lo scorso 26 ottobre), dal governo tecnico Monti (attraverso il decreto 207/2012 convertito nella legge 231/2012) e dall’attuale governo Letta detto anche delle “larghe intese” (col decreto legge 61 del 4 giugno scorso). Inoltre, la dichiarazione del ministro Orlando appare più una minaccia, nemmeno tanto velata, che altro: cosa vuol dire che se l’attività produttiva dell’Ilva dovesse fermarsi, nessun governo troverà la risorse per bonificare?

Forse, il buon Orlando, ha inconsciamente ammesso che, come peraltro da sempre sosteniamo, la dirigenza Ilva ha minacciato l’attuale governo affinché consentisse la prosecuzione dell’attività dello stabilimento a fronte dell’impegno (del tutto insufficiente) da parte dell’azienda, di rispettare le prescrizioni presenti nell’AIA investendo le risorse finanziarie derivanti dall’attività produttiva (principio che casualmente ritroviamo nel testo dell’ultimo decreto ‘pro-Ilva’). Inoltre, che il ministro Orlando abbia le idee un po’ confuse, lo dimostra anche il fatto che venerdì ha dichiarato che per l’applicazione dell’AIA serviranno 3,5 miliardi. Bene. Ma a fronte della previsione del commissario dell’Ilva Enrico Bondi, che durante l’audizione di mercoledì scorso alla commissione Attività Produttive della Camera ha dichiarato che per l’AIA serviranno appena 1,8 miliardi, chi tirerà fuori la differenza (1,7 miliardi di euro, dando peraltro per buono che servano effettivamente 3,5 mld)?

“Noi non abbiamo l’ambizione di risarcire il danno – ha dichiarato il ministro, riflettendo sul sequestro degli 8 miliardi da parte della magistratura – ma di ripagare l’AIA”: ma il ministro è a conoscenza del fatto che la Guardia di Finanza ha trovato poco più di 400mila euro nelle casse della Riva FIRE e della Riva Forni Elettrici? E’ a conoscenza che l’Ilva Spa attualmente non possiede i mezzi finanziari per attuare nessuna delle prescrizioni più importanti dal punto di vista economico (come la copertura dei parchi minerali e la copertura dei 90km dei nastri trasportatori)? E’ mai possibile che prima la Prestigiacomo, poi Clini e adesso Orlando, invece che difendere l’ambiente, propendano per salvare l’attività produttiva e garantirne la continuità, piuttosto che fare esattamente il contrario? Mistero.

Intanto, visto che i “fenomeni” vanno sempre in coppia, secondo i sindacati “i problemi dell’Ilva rimangono sempre complessi, ma la situazione oggi si presenta più stabile”. Oramai, in piena crisi economica, la stabilità di un’azienda per i sindacati, ed in particolare per il segretario della Fim Cisl, Cosimo Panarelli, è raffigurata da accordi “a perdere”, come quello siglato la scorsa settimana che ha ridotto il numero dei contratti di solidarietà (da 3.749 a 3.640) per fronteggiare sia la crisi di mercato, che la fermata degli impianti a seguito dei presunti lavori previsti dall’AIA. Così come assume quasi i contorni di una conquista, il regolare pagamento degli stipendi di maggio e di giugno: “Il momento critico c’è stato attorno al 12 giugno, quando, con l’azienda nel caos, si temeva un possibile slittamento delle retribuzioni – afferma Panarelli -. Ci risulta che il commissario Enrico Bondi si sia adoperato molto perché gli stipendi fossero assicurati alla data prevista. E ci sarebbe anche un suo preciso impegno a non mettere in discussione questa scadenza”.

Intanto, il mercato pare continui a fare le bizze: un giorno “costringe” l’azienda a fermare gli impianti, mentre il giorno dopo altri magicamente riaprono: “Se è vero che la crisi permane, è anche vero che qualche segnale positivo si scorge. Sono infatti ripartiti da alcuni giorni i Rivestimenti e abbiamo ridotto i contratti di solidarietà nell’area della laminazione a freddo proprio perché qualche ordine comincia ad affluire. Con tutto quello che è successo, i clienti vedevano ormai l’Ilva come un’azienda inaffidabile. In sostanza, temevano che affidate le commesse, poi non sarebbe riuscita a consegnarle. Ora, invece, il commissariamento dell’Ilva ha ridimensionato questa preoccupazione. Il mercato comincia a percepire che c’è più stabilità aziendale, che si vuole lavorare per il rilancio e il risanamento dell’ambiente, motivo per cui il lavoro, seppure non tanto, comincia a tornare”. Il tutto, ovviamente, è merito di Enrico Bondi. Che però, per tutto il periodo in cui è stato amministratore delegato dell’Ilva Spa, si è ben guardato dall’incontrare i sindacati. Il futuro, dunque, è nelle mani di Bondi. Come ha confermato lo stesso ministro Orlando nella kermesse del Pd: “Il commissario è una figura che serve non per l’esproprio ma per consentire la prosecuzione dell’attività”. Che poi si continui ad inquinare è del tutto “normale”.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 24/06/2013)

 

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