Ilva, una vittoria di Pirro

TARANTO – Quella ottenuta ieri al tribunale del Riesame, è stata per l’Ilva la classica “vittoria di Pirro”. Perché se è vero che i custodi giudiziari non potranno vendere l’acciaio sequestrato lo scorso 26 novembre, è altrettanto vero che quel materiale, sotto sigilli perché considerato corpo del reato commesso da un’azienda inquisita per disastro ambientale, non tornerà nel possesso dell’Ilva. Che da quel 26 novembre le ha provate davvero tutte pur di riuscire a riottenere quel milione e 700mila tonnellate di acciaio: segnale evidente di come la logica del profitto non sia mai stata messa da parte dall’azienda.

E‘ bene infatti ricordare ancora una volta tutto ciò che l’Ilva ha sostenuto sino al giorno in cui il gip Todisco ha ordinato ai custodi di vendere l’acciaio sequestrato, i cui proventi sarebbero poi stati conferiti in un conto bloccato sino al pronunciamento definitivo della Corte Costituzionale. L’azienda ha infatti sostenuto sin da subito come lo sblocco della merce sequestrata fosse azione imprescindibile per “continuare la vita aziendale che è gravemente danneggiata dai provvedimenti della magistratura”. Ottenuto il primo no da gip e Procura, l’Ilva minacciò l’esubero di 1.400 lavoratori dell’area a freddo e la fermata a cascata di una serie di stabilimenti in Italia (Genova e Novi Ligure) e in Europa. Motivo? “Mancando la disponibilità di prodotti finiti e semilavorati (coils neri, lamiere e bramme) verrà del tutto interrotta la lavorazione verticalizzata a Taranto e negli altri stabilimenti ILVA e sarà necessario ricostituire da zero un nuovo parco prodotti lavorati e semilavorati”.

Durante la discussione in camera di consiglio dello scorso 12 marzo, il legale dell’Ilva Marco De Luca, ha sostenuto che “la vendita coattiva e immediata si traduce necessariamente e sempre in una svendita” e quindi “la violazione del diritto è associata ad un futuro e certo danno economico”. Ma quale differenza vi sia se a vendere l’acciaio sia l’ufficio commerciale dell’azienda o i custodi giudiziari, non è dato sapere. Soprattutto a fronte del fatto che l’azienda ha sempre sostenuto come quell’acciaio fosse stato già venduto. Dunque, quale “svendita” può mai avvenire se i contratti sono stati già firmati? Quando lo scorso dicembre il presidente Bruno Ferrante dichiarava che quel materiale era stato già venduto (“Ricorreremo al tribunale del Riesame per evitare il danno derivante dalla mancata consegna dei prodotti già ordinati e non rimpiazzabili in alcun modo”), affermava il vero oppure no?

Inoltre, non possiamo certo dimenticare la storia del “miliardo” con cui l’Ilva avrebbe dovuto provvedere ad una serie di operazioni vitali per l’azienda. Per i custodi il controvalore della merce sequestrata è pari a 796,768 milioni di euro, ma nell’esposto l’azienda ha sostenuto che “non è così: perché o quel controvalore è individuato al ribasso, oppure esso non è raggiungibile se non all’esito di libere trattative, autonomamente condotte dall’Ilva stessa nei tempi più opportuni”, cosa che l’ordinanza del gip vietava categoricamente e che anche ieri il Riesame ha di fatto escluso. E’ “l’impresa – si sosteneva nell’esposto – ad esercitare il diritto di convertire il prodotto in controvalore, e ciò secondo variabili liberamente scelte e non coercibili, neppure in ragione di un eventuale provvedimento di sequestro”.

Ma se tutto questo è vero, allora è clamorosamente falsa la tesi sostenuta da sempre dall’azienda, secondo cui il valore della merce sequestrata ammonti ad 1 miliardo di euro. Se infatti le “libere trattative” devono essere ancora intavolate, come ha fatto l’azienda a stabilire subito dopo il sequestro che il valore di quella merce ammontasse esattamente ad 1 miliardo di euro? E come ha fatto l’azienda a sostenere per oltre due mesi che quel miliardo sarebbe servito a pagare gli stipendi ai lavoratori e ad ottemperare le prescrizioni dell’AIA, visto che i mesi di dicembre, gennaio e febbraio sono stati poi regolarmente retribuiti e si é iniziato, seppur con diversi rinvii, ad ottemperare ad alcune delle prescrizioni presenti nell’AIA?

Nel ricorso veniva anche contestata la deperibilità dell’acciaio sequestrato, evidenziato dai custodi nella relazione rilasciata ai pm lo scorso gennaio – poi recepito dal gip – come un rischio che, se verificatosi, avrebbe deprezzato la merce e quindi arrecato danno all’azienda. Rischio che ha indotto i magistrati ad accelerare la vendita, anche se la Corte Costituzionale deve ancora pronunciarsi sulla legittimità o meno dei ricorsi presentati dal gip e dal tribunale dell’appello sulla costituzionalità della legge 231 (la Consulta si riunirà il prossimo 9 aprile), motivo per cui il Riesame ha bloccato l’iniziativa del gip.

“Bramme a laminati d’acciaio – ha sostenuto l’azienda nell’esposto – si pongono certamente tra i beni la cui astratta deperibilità è la meno attuale e concreta tant’è che le bramme sono insensibili al tempo, i coils e derivati sono soggetti a trattamenti chimici che ne riducono l’ossidazione, le lamiere da treno vengono stoccare anche per più di due anni, i laminati a freddo sono imballati con apposite modalità protettive”. C’è quindi “totale mancanza di motivazione sulla concreta natura dei prodotti e dei pretesi pericoli di alterazione”. Ed allora per quale motivo sempre lo scorso dicembre, la stessa azienda sosteneva “il danno relativo all’eventuale smaltimento di tali prodotti che, l’azienda ricorda, sono prodotti deteriorabili”?

Il Riesame ha dunque bloccato tutto, in attesa del 9 aprile. “Appare carente qualunque ragione di urgenza (finanche di immediata opportunità) – hanno sostenuto i giudici del Riesame – che consenta di procedere alla vendita giudiziaria durante la sospensione del giudizio a distanza di poche settimane dalla decisione della Consulta. Né può dirsi che tramite la vendita realizzata prima di tale momento vengano effettivamente tutelati nella maniera più conveniente gli interessi sia dell’avente diritto alla restituzione, sia dell’erario”. Se il 9 aprile la Corte Costituzionale dichiarerà ammissibili i ricorsi di gip e tribunale dell’Appello sull’eccezione di costituzionalità sollevata in merito alla legge ‘salva-Ilva’, tutto tornerà in gioco. Statene pur certi. Ed allora sì che ne vedremo delle belle.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 19.03.2013)

 

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