Ilva, una fabbrica “solidarizzata”

TARANTO – In attesa di conoscere la decisione del tribunale del Riesame sull’istanza dell’Ilva contro la decisione del gip Todisco che ha ordinato ai custodi di vendere l’acciaio sequestrato dalla Procura lo scorso 26 novembre, e della decisione della Corte Costituzionale che il prossimo 9 aprile si riunirà per decidere sull’ammissibilità dei ricorsi presentati dallo stesso gip e dal tribunale del Riesame in merito all’eccezione di costituzionalità sulla legge 231 del 24 dicembre scorso, la così detta “salva-Ilva”, non possiamo certo affermare di starci annoiando.

Una fabbrica “solidarizzata”

All’indomani dell’incontro di giovedì al ministero del Lavoro, scopriamo che la vera natura dell’ultimo accordo siglato da Ilva e sindacati è leggermente diverso rispetto a quanto previsto alla vigilia. Come già riportato ieri, saranno 3.749 gli esuberi temporanei: ma la gestione dei contratti di solidarietà coinvolgerà quasi tutte le unità lavorative dell’Ilva di Taranto. L’intesa prevede infatti ben 11059 “solidarizzanti” su circa 11454 tra operai e categorie speciali (per legge i dirigenti sono esclusi da questi contratti). Ai “solidarizzanti” corrisponderà una percentuale media massima di riduzione dell’orario di lavoro del 34%. Calcoli alla mano, un lavoratore Ilva di quarto livello e con una retribuzione calcolata su un impegno lavorativo di un mese intero, di 1.800 euro lorde che diventano al netto 1.325 euro, andando in cassa integrazione avrebbe percepito un netto di 1.025,87 euro pari al 77,42% del suo stipendio.

Col contratto di solidarietà, invece, il netto sarà di 1.141 euro, pari all’86,11% della retribuzione. Inoltre gli effetti su ferie, permessi retribuiti, tredicesima mensilità e premi annui, decorrono col contratto di solidarietà. L’accordo varrà per i prossimi 12 mesi: poi ci si ritroverà nuovamente attorno ad un tavolo a discutere il da farsi. Dunque, dopo aver minacciato il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per un massimo di 6417 lavoratori sino al 2015, l’Ilva porta a casa un accordo di durata annuale che però riguarderà l’intera azienda.

Domanda: ma ai lavoratori un’ipotesi del genere è stata prospettata da parte dei sindacati o si è trattato dell’ennesima decisione calata dall’alto? Perché se è vero che i contratti di solidarietà sono una prospettiva migliore dalla cassa integrazione straordinaria (il contratto di solidarietà nasce infatti come strumento atto a difendere l’occupazione, facendo in modo che il sacrificio imposto ai lavoratori, in seguito alla diminuzione dell’orario di lavoro, possa essere recuperato attraverso un rimborso di quote di retribuzione da parte dell’Inps, ndr), è altrettanto vero che l’accordo poteva essere esteso ben oltre i 12 mesi.

I contratti di solidarietà possono essere stipulati per un massimo di 24 mesi ai sensi della Legge n. 863 del 1984, prorogabili, ai sensi della Legge n. 48/1988, per altri 24 mesi (36 mesi per i lavoratori occupati nelle aree del Mezzogiorno). Dunque, perché mai l’Ilva per la cassa integrazione straordinaria aveva previsto un lasso di tempo di 24 mesi, mentre per i contratti di solidarietà ne prevede la metà per poi intavolare una nuova trattativa? Probabilmente perché così facendo ha potuto coinvolgere l’intera fabbrica tarantina, con l’appoggio e la soddisfazione dei sindacati che oramai da anni inseguono la politica del “meno peggio”: soltanto così infatti si possono spiegare i toni trionfalistici utilizzati nella giornata di ieri. Anche se, più di qualcuno, ha onestamente ammesso che “più di questo non si poteva ottenere”.

I numeri dell’accordo

Ai 3749 esuberi e agli 11059 “solidarizzanti” si è arrivati attraverso la suddivisione in nove aree dell’Ilva. Per le manutenzioni centrali sono previsti 441 esuberi e 1828 “solidarizzanti”, staff collegati alla fermata dell’AFO 1, 60 esuberi e 647 “solidarizzanti”, energia sempre collegata allo stop per lavori di risanamento dell’AFO 1, 16 esuberi e 382 “solidarizzanti”; laminazione a freddo, 648 esuberi e 748 “solidarizzanti” (ma in quest’area il numero massimo scatterebbe solo in caso di necessità di fermata integrale degli impianti). E ancora: 709 esuberi e 1208 “solidarizzanti” nell’area della laminazione a caldo, 307 esuberi e 2161 in solidarietà nell’area ghisa, 561 esuberi e 1359 in solidarietà nell’area servizi, infine 534 esuberi e 599 “solidarizzanti” nei tubifici, ma anche il numero massimo scatterà solo se si verificherà la fermata integrale degli impianti. L’accordo prevede che la collocazione in “solidarietà” avverrà previa fruizione del monte ferie e permessi maturati non goduti. Sui temi della sicurezza e dei lavoratori degli appalti invece, è stato convocato un incontro in Prefettura per martedì prossimo.

“Adesso tocca all’azienda”

Con questa specie di monito, i sindacati probabilmente pensano di intimidire qualcuno nella stanza dei bottoni della dirigenza Ilva. Ma ancora una volta, la verità è ben diversa. Perché anche giovedì a Roma, l’azienda si è ben guardata dal presentare il famoso piano industriale e il piano investimenti che dovrà garantire la copertura finanziaria degli interventi previsti sui vari impianti e nelle varie aree in cui si dovrà operare il risanamento previsto dall’AIA. Del resto, sino ad oggi nessuno ha capito dove l’Ilva prenderà i due miliardi e mezzo di euro che secondo l’azienda serviranno per ottemperare entro i prossimi 36 mesi alle prescrizioni AIA.

Così come non è assolutamente casuale l’assenza del piano industriale: l’Ilva attenderà di conoscere il responso del Riesame sull’acciaio sequestrato, ma soprattutto quanto deciderà il 9 aprile al Consulta. Perché se i giudici della Corte Costituzionale dovessero giudicare ammissibili i ricorsi di gip e tribunale dell’Appello sulla legge “salva-Ilva”, tutto tornerebbe nuovamente in discussione. L’Ilva, dunque, non ha alcun interesse a predisporre qualsivoglia investimento, senza prima aver ricevuto la garanzia di non avere più ostacoli e impedimenti dall’autorità giudiziaria. Ma anche in quel caso, come ripetiamo da quasi un anno oramai, il piano del gruppo Riva resta sempre lo stesso: un lento ma costante disimpegno nella gestione del siderurgico più grande d’Europa. Nel frattempo, grazie all’aiuto dei sindacati, si è messa al riparo per i prossimi 12 mesi da qualsivoglia vertenza “aprendo” ai contratti di solidarietà. Che però è unidirezionale: dagli operai verso l’azienda e non certamente il contrario.

Il triangolo ARPA-ISPRA-Clini

L’accordo di giovedì, prevede inoltre l’istituzione dell’ennesimo tavolo interministeriale (Welfare, Ambiente, Sviluppo Economico), con il Garante per l’Aia, il Commissario per le Bonifiche, Fim, Fiom e Uilm, Regione Puglia, Enti Locali, con il coinvolgimento degli Enti e delle Agenzie preposte al controllo dell’attuazione dell’Aia e alla protezione ambientale, al fine di monitorare la realizzazione delle bonifiche nello stabilimento e nel territorio, che sarà attivato ogni 6 mesi o a richiesta delle parti. Ma a cosa serve questa bulimia di tavoli istituzionali se non a perdere tempo senza portare risultati concreti?

Del resto, la mancanza di sinergia tra istituzioni e organi di controllo è testimoniato anche e soprattutto da quanto sta accadendo in questi giorni in merito all’attuazione da parte dell’Ilva delle prescrizioni AIA. Detto delle critiche e degli allarmi lanciati da ARPA Puglia, dopo la nota del ministero dell’Ambiente in cui si garantisce il regolare rispetto del calendario da parte dell’Ilva, vien fuori che l’ISPRA, nella relazione del 12 marzo, ha sottolineato come le cose non stiano esattamente in questo modo. Con l’azienda che sino al dicembre 2015 potrà gestire a proprio piacimento, tempi e modi di attuazione, anche se quest’ultimi, come si è visto nel documento dell’ARPA, prolunghino nel tempo il verificarsi di fenomeni inquinanti a scapito dell’ambiente e della salute dei cittadini di Taranto. Come avviene oramai da svariati decenni nella più totale impunità.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 16.03.2013)

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