Ilva, vacanze romane

TARANTO – L’unica vera notizia sull’incontro di ieri al ministero del Lavoro a Roma, è che l’Ilva SpA non ha ancora presentato alcun piano industriale. Dunque, ancora una volta siamo nel campo delle semplici parole, di frasi che vogliono dire tutto e il contrario di tutto, ma che sostanzialmente lasciano le cose in una sorta di limbo dal quale nessuno sembra voler uscire davvero. Una “buona” notizia, se vogliamo, c’è: il presidente Ilva Bruno Ferrante ha infatti ritrovato la parola dopo l’assordante silenzio con il quale ha preferito affrontare l’incidente mortale di giovedì scorso avvenuto nel siderurgico tarantino, nel quale ha perso la vita l’operaio Ciro Moccia.

Uno “stile” davvero impareggiabile. E che l’incontro di ieri sia stato semplicemente interlocutorio, o più politico che altro, lo dimostra il fatto che azienda e sindacati si ritroveranno questo pomeriggio all’Ilva per iniziare ad affrontare la questione della cassa integrazione straordinaria, entrando nel merito dei numeri. Le parti poi si ritroveranno giovedì 14 marzo per un nuovo incontro a Roma sempre presso il ministero del Lavoro. Alla riunione di ieri, presieduta dal vice ministro del Lavoro, Michel Martone, hanno partecipato il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, il sottosegretario allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti, il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, l’assessore al Lavoro, Gentile, il presidente Ilva, i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm Uil e le RSU.

Come detto, anche ieri l’azienda ha preso tempo, recitando il solito copione che oramai tutti conoscono, condito da intenti, mezze verità, promesse e velate minacce: “a novembre ci hanno sequestrato i prodotti per un valore di 900 milioni di euro e abbiamo subito un blocco di due mesi: ma stiamo risalendo la china, con molta pazienza e serietà”; “ci rendiamo conto che abbiamo fatto una richiesta importante, che implica sacrifici per i lavoratori, ma è una richiesta che apre una prospettiva, perché finalizzata alla ristrutturazione dell’azienda e al termine ci sarà il rientro di tutti i lavoratori nello stabilimento”; “la volontà di Ilva è applicare l’AIA: abbiamo già iniziato ad applicarla.

Sono in corso i lavori e abbiamo fatto ordini per interventi importanti che richiedono cospicui investimenti”; “abbiamo elaborato un piano industriale che prevede la piena applicazione dell’AIA”; “il fermo di impianti durante i lavori, motiva la richiesta di cassa integrazione straordinaria, in cui abbiamo esposto il numero massimo di lavoratori coinvolti nei prossimi due anni. Questi numeri massimi potrebbero anche non essere mai raggiunti”; “auspichiamo un confronto sereno, reale, nell’interesse dei lavoratori, dell’ambiente e anche dell’azienda che guarda al futuro a testa alta”; “abbiamo dato la nostra disponibilità a valutare anche la possibilità dei contratti di solidarietà in sostituzione della cassa integrazione”.

Ma la verità, come sempre, è ben diversa. Persino i sindacati, al termine dell’incontro, hanno denunciato come l’azienda abbia assunto ancora una volta un atteggiamento di chiusura. E che ogni discussione dovrà avvenire a fronte di un piano industriale sul quale stava lavorando, nel mese di dicembre, il dimissionario direttore dello stabilimento Adolfo Buffo. Inoltre, ancora oggi non è chiaro con quali risorse finanziarie l’azienda affronterà i lavori previsti dall’AIA che l’Ilva stessa ha quantificato in almeno due miliardi e mezzo di euro. Così come l’azienda non ha ancora specificato l’ammontare della tempistica negli investimenti sull’impiego delle ditte appaltatrici e sulla sicurezza del lavoro.

Non solo. Perché che la situazione sia tutt’altro che chiara, lo dimostra anche il comunicato del ministero del Lavoro che sottolinea come “i sindacati hanno richiesto all’azienda di porre in essere tutti gli approfondimenti tecnici per verificare che l’efficacia del piano di ristrutturazione aziendale sia compatibile con il mantenimento dei livelli occupazionali. L’azienda ha manifestato la propria disponibilità a porre in essere tutti gli approfondimenti tecnici richiesti nel più breve tempo possibile, ha ribadito che non darà luogo a licenziamenti e che sta già provvedendo agli investimenti al fine di consentire la prosecuzione dell’azione di bonifica necessaria a dare attuazione alle prescrizioni dell’AIA”.

Dunque, siamo ancora agli approfondimenti. E a dichiarazioni d’intenti che non hanno riscontro alcuno sulla carta. E nella realtà. Addirittura si starebbe pensando di rimodulare gli interventi dell’AIA in modo che la riqualificazione e il riavvio di AFO1 si concluda con largo anticipo rispetto a quella relativa ad AFO 5. Ma lo scorso 23 gennaio nella relazione consegnata al ministro Clini, l’Ilva non aveva dichiarato di aver già ottemperato al 65% delle prescrizioni presenti nell’AIA? Ed ora le si vuole addirittura rimodulare?

Non è un caso allora se, insieme al buon Ferrante, il più ottimista di tutti è ancora una volta il ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Il quale anche ieri ha ribadito che se l’Ilva riuscisse ad anticipare il rispetto degli standard ambientali, che a livello europeo entreranno in vigore nel 2016, potrebbe accedere ai finanziamenti europei previsti nel caso in cui le imprese siderurgiche anticipino il rispetto dei nuovi standard ambientali prima delle scadenze. Come possa l’Ilva risanare tutti gli impianti dell’area a caldo entro il 31 dicembre del 2015 non è dato sapere.

Stranamente però, il ministro Clini ieri è stato colto da un intuito realista, quando ha sottolineato che “nel caso in cui l’azienda, per ragioni varie non fosse in condizione di sostenere i costi necessari, faremo scattare le norme previste dalla legge che considerano tra l’altro l’ipotesi che subentri una gestione straordinaria per il risanamento”. Frase che evidenzia, se mai ce ne fosse bisogno, l’assoluta assenza di qualsivoglia certezza. Del resto, la verità che nessuno chissà perché vuol dire, è semplicemente una.

L’Ilva al momento segue tutt’altro calendario, che è quello cadenzato dalle aule di tribunale: martedì 12 infatti, il Riesame si esprimerà sul ricorso presentato dall’azienda in merito alla decisione del gip Patrizia Todisco di vendere l’acciaio sequestrato lo scorso 26 novembre. Il 9 aprile, poi, c’è l’appuntamento più importante: quel giorno infatti, la Corte Costituzionale si riunirà per discutere l’ammissibilità dei ricorsi presentati dallo stesso gip e dal tribunale dell’Appello di Taranto sulla legittimità costituzionale della legge 231 del 24 dicembre. Sino a quel giorno, nulla si muoverà davvero.

Gianmario Leone (TarantOggi, 06.03.2013)

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