Eni, è un bollettino di guerra

TARANTO – E’ come se l’azienda Eni, negli ultimi tempi, avesse preso vita e reclamasse la stessa attenzione come da due mesi a questa parte sta avvenendo per la vicina del quartiere industriale, l’Ilva. Dopo l’incidente dello scorso 10 settembre, dove rimase lievemente ferito un operaio, nel pomeriggio di ieri altri due operai sono rimasti ustionati in un incendio, a seguito della rottura di una tubazione di dieci pollici che trasporta greggio all’interno della raffineria.

Gli operai hanno riportato ustioni alle mani e al viso. A quanto si è appreso, erano in corso lavori di manutenzione su un collettore nell’area serbatoi da parte di un’azienda metalmeccanica dell’appalto, la TPS, quando è scoppiato l’incendio. I due feriti sono entrambi dipendenti di una delle tante ditte dell’appalto che lavorano all’interno della raffineria di Taranto. I lavoratori sono stati soccorsi e condotti, in un primo momento, presso il Santissima Annunziata: uno, dopo che gli è stata diagnosticata la guarigione in una quarantina di giorni, è stato condotto in un centro specializzato a Bari; l’altro, che versa in condizioni più gravi, è stato trasferito nel centro Grandi ustionati dell’ospedale “Perrino” di Brindisi dov’è ricoverato in prognosi riservata: ma a quanto si apprende la sua vita non sarebbe in pericolo. Le fiamme sono state spente dai Vigili del Fuoco del distaccamento interno e del comando provinciale di Taranto.

Dal pomeriggio di ieri sono in corso accertamenti per verificare il rispetto delle condizioni di sicurezza. Stringato il comunicato che l’Eni ha diramato in serata per commentare l’accaduto: “Oggi, alle 15.00, durante le fasi di installazione di alcuni tratti di tubazione nell’area movimentazione della Raffineria Eni di Taranto, si è verificato un principio di incendio, domato in 15 minuti circa dalle squadre aziendali dei vigili del fuoco. Due operatori dell’impresa meccanica incaricata delle fasi di montaggio hanno subito ustioni non gravi che hanno necessitato di un intervento medico.

L’evento non è associato ad alcun cedimento strutturale ed ha interessato una porzione limitata della platea tubazioni dell’area movimentazione. E’ in corso un’indagine interna per verificare le cause all’origine dell’evento. L’assetto del sito non ha subito ripercussioni, per cui la Raffineria è regolarmente in marcia”. Per l’Eni dunque, una prognosi di 40 giorni ed un’altra riservata, non sono sinonimo di ustioni gravi. Ma ciò che oramai non sorprende più, è il tono freddo e distaccato con cui la raffineria commenta gli incidenti oramai mensili che si verificano all’interno dello stabilimento.In zone peraltro fortemente sensibili come può essere l’area serbatoi.

Ma tant’è: l’Eni a Taranto è da sempre una specie di zona grigia, dove nessuno può avvicinarsi e al cui interno può accadere qualunque cosa: d’altronde, chi li controlla? E poi: chi garantisce gli operai e i cittadini di Taranto sulla reale sicurezza della raffineria Eni? Domande ed interrogativi che troppo spesso in questa città rimangono senza risposta. E se un domani dovesse accadere un incidente più grave e con conseguenze nefaste per il territorio, chi ne risponderà? Possibile che le nostre istituzioni non dicano una sola sillaba sugli incidenti che accadono all’Eni, che ricordiamo è al 30% ancora di proprietà statale? Intanto, per rinfrescarci la memoria, riproponiamo i più gravi incidenti verificatisi in raffineria negli ultimi sei anni: affinché un domani, qualora dovesse verificarsi ciò che nessuno di noi si augura, non sipotrà dire “non sapevamo, non immaginavamo, era tutto sotto controllo”.

Maggio 2006: sversamento di 30.000 metri cubi di gasolio da un serbatoio. Tra l’altro molto vicino all’area nella quale si sarebbe voluto realizzare il rigassificatore della Gas Natural, progetto non ancora del tutto sepolto, come abbiamo più volte ricordato da queste colonne. Ottobre 2007: incidente all’impianto di desolforazione Rhu, con fuoriuscita di acido solfidrico da una fessura creatasi su un tubo in uscita da uno scambiatore di calore dell’impianto. Marzo 2008: due operai della ditta “Tecnogal” di Brindisi, impegnati in lavori di manutenzione, rimasero feriti al volto e agli arti inferiori per lo scoppio del compressore d’aria provocato da una fuga di gas. L’innesco fu causato dalle scintille di una molatrice che i due lavoratori stavano utilizzando per tagliare il compressore, inutilizzato da oltre un mese. Settembre-ottobre 2008: un black-out elettrico bloccò gli impianti che, per andare in sicurezza, scaricarono in torcia sostanze che alimentarono fiamme alte e colonne di fumo denso e nero. Luglio 2009: interruzione di energia elettrica, impianti in tilt e fumo nero dalla torcia.

Ma l’elenco non finisce qui. 12 marzo 2011: Un altro incendio danneggia il nuovo impianto di Idrocracking entrato in funzione da poche settimane. 7 aprile 2011: esplosione nella notte in una tubatura che trasportava greggio. A causare l’esplosione, come spiegherà la stessa Eni nella prima ed unica storica conferenza stampa convocata negli uffici della raffineria, fu una perdita in una tubazione dell’impianto Platforming. 10 settembre 2012: in corrispondenza di una tubazione a sud del serbatoio T3148 esternamente al bacino di contenimento, mentre era in corso l’attività di isolamento della tubazione, finalizzata all’inserimento di valvole controllabili da remoto, in ottemperanza a una specifica prescrizione del Comitato Tecnico Regionale che prevede l’apertura della tubazione, il prodotto (benzina) ha trovato un innesco che ne ha causato la combustione. L’industria petrolifera prevede una stabilizzazione del prezzo del petrolio di lungo periodo tra 90-100 dollari e riserve petrolifere sufficienti per altri 80 anni. Per Jeremy Rifkin, noto economista, attivista e saggista statunitense, tra 25 anni l’Unione Europea potrebbe dire addio al petrolio.

Che abbia ragione l’uno o l’altro, siamo certi che come per la vicenda Ilva, attenderemo la prossima inchiesta della Procura o la fine effettiva delle riserve petrolifere, per guardarci negli occhi e tentare disperatamente di salvare il salvabile. Intanto, Comune, Provincia, Regione e Ministero dell’Ambiente autorizzano a perforare la Basilicata per ottenere nuovo petrolio grezzo dai giacimenti di “Tempa Rossa”, usando Taranto come punto d’approdo dell’oro nero estratto dai pozzi lucani e punto di partenza di decine e decine di enormi petroliere che preleveranno il prodotto grezzo per portarlo in giro per il mondo.

Con aumento delle emissioni diffuse del 12% (8% secondo i dati dell’Eni), che si vanno ad aggiungere alle emissioni quotidiane che la raffineria regala ogni giorno alla nostra città, a partire dalle esalazioni di gas a cui i cittadini di Taranto sono esposti ogni qual volta l’Eni svolge le sue operazioni, fregandosene altamente dell’ambiente circostante e della salute dei tarantini. Con i progetti del raddoppio della raffineria (perché bocciato dal ministero) e del metanodotto ancora nel cassetto, e la nuova “piccola” centrale a turbogas dell’Enipower in rampa di lancio. Questo, è bene saperlo, è il futuro che ci attende. A prescindere dall’Ilva e dai teatrini della politica.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 11 ottobre 2012)

 

Be the first to comment on "Eni, è un bollettino di guerra"

Tinggalkan komentar