L’Ilva teme il potere operaio

TARANTO – Il nuovo “niet” della Procura, in merito al piano investimenti ed alla richiesta della minima capacità produttiva degli impianti, ha avuto il grande “merito” di far uscire allo scoperto lo scontro “nascosto” tra i sindacati metalmeccanici tarantini sulla vicenda Ilva. Sin dalle prime ore di ieri infatti, un centinaio di lavoratori si sono radunati all’interno dello stabilimento, nell’area antistante la direzione, protestando perché l’azienda avrebbe “iniziato a spegnere le luci e a interrompere l’erogazione dell’acqua nei reparti sottoposti a sequestro”.

Notizie immediatamente battute da tutte le agenzie di stampa, ma smentite poco dopo dall’azienda: cosa che però non ha evitato lo scoppio di una durissima polemica con il presidente del Cda Ilva, Bruno Ferrante. Il primo attacco é arrivato da Francesco Rizzo, Unione sindacale di base (Usb), che ha accusato l’Ilva di produrre in questi giorni come mai avvenuto prima d’ora. “Ieri in azienda si è prodotto l’ennesimo record di 80 colate – ha denunciato – e oggi l’Ilva esercita pressioni sui lavoratori affinché scendano in piazza”. Singolare il fatto che dalla manifestazione si sia dissociata anche la Fim Cisl, sostenendo appunto che la protesta sarebbe stata incentivata dagli stessi responsabili aziendali.

Ma ancora più duro è stato il segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto, Donato Stefanelli, che ha denunciato senza tanti giri di parole come “i capi stanno istigando alla rivolta contro la magistratura e i sindacati stanno dicendo cosa fare”. Che i capi area fossero gendarmi al servizio dell’azienda, era risaputo da anni: ma che la denuncia di tale fenomeno arrivi direttamente da un sindacato di fabbrica, non è segnale da poco.

Ma ancora più interessante è quel “i sindacati stanno dicendo cosa fare”: un plurale alquanto strano, visto che dalla protesta si sono dissociati l’Usb, la Fim Cisl ed appunto la Fiom Cgil. Il riferimento, fin troppo chiaro, è alla Uilm Uil, stranamente silente ieri, da anni il sindacato più rappresentato all’interno del siderurgico. E che dal 26 luglio, tramite i suoi massimi rappresentanti, dal segretario generale di Taranto Talò, a quello nazionale Palombella, ha espresso i giudizi più duri nei confronti dell’azione della magistratura. Poco dopo le accuse giunte dalla Fiom Cgil, il presidente Ferrante ha parlato attraverso una nota ufficiale: “Prendo la più assoluta distanza dalle parole del segretario della Fiom Cigl Stefanelli che accusa l’azienda di voler istigare alla rivolta contro la magistratura. Sono accuse irricevibili e infondate.E sono francamente sorpreso per un utilizzo di parole così gravi, data la delicatezza della situazione che stiamo vivendo”.

In serata, è arrivata però la controreplica di Stefanelli, che oltre a confermare le sue accuse (“Ho fatto delle dichiarazioni di cui mi assumo tutte le responsabilità: trovo la reazione di Ferrante spropositata ma non intendo ricambiare alla sua dichiarazione”), ha specificato a cosa si riferiva: “Oggi ho denunciato le operazioni del governo ombra in azienda rispetto al governo ufficiale e a cose che in questi mesi abbiamo riferito a Ferrante direttamente”.  E’ evidente come anche l’idillio durato decenni, tra l’azienda e i sindacati metalmeccanici, stia iniziando a scricchiolare. Del resto, Ferrante segue la linea dettata dal Gruppo Riva, che persegue un unico, semplice interesse: difendere l’impero economico creato grazie all’Ilva di Taranto, dai custodi e dalla Procura. Provando a restare in sella con l’aiuto del ministero dell’Ambiente ed eventualmente della Ue attraverso i prestiti che potrebbero arrivare dalla Banca Europea degli Investimenti.Mantenendo però un punto fermo, dal quale non si può prescindere: che l’entità e le modalità degli investimenti sui relativi impianti, deve deciderli il Gruppo Riva.

Non certo i custodi e la Procura di Taranto. Pensiero peraltro confermato ieri dallo stesso ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha apertamente dichiarato che “l’autorizzazione che consente all’Ilva l’esercizio degli impianti compete al ministero. Né il procuratore della Repubblica, né il gip, né il presidente del tribunale hanno l’autorità per autorizzare un impianto industriale. Nel caso in cui si creasse un conflitto o una divergenza – preannunciando eventuali divergenze con la magistratura – credo dovrà essere assolutamente risolto secondo quanto prescritto dalla legge. Io so qual è il mio compito e conosco quelli della magistratura”. Perché “mentre la procura della Repubblica deve perseguire i reati, e deve farlo con rigore, le decisioni su come una fabbrica deve essere gestita – ha concluso Clini -, e quali sono le tecnologie che devono essere utilizzate sono di competenza dell’amministrazione”.

La cosa paradossale è che il ministro Clini, pur di salvare l’Ilva, non solo creerebbe un conflitto con la magistratura tarantina, ma arriverebbe addirittura all’assurdo di autorizzare l’esercizio di impianti ed aree sequestrate che inquinano, ammalano e uccidono: in primis gli operai. Che forse, soltanto adesso, stanno lentamente trovando il coraggio di muoversi ed unirsi, anche se ancora molto lentamente. Perché soltanto loro sanno cosa è accaduto e accade ogni giorno dentro l’Ilva. Soltanto loro conoscono alla perfezione quegli impianti dove ogni giorno rischiano la loro vita. Soltanto loro sanno quanto inquinamento ha prodotto l’Ilva in tutti questi anni e l’Italsider prima ancora. Soltanto loro sanno cosa vuol dire perdere un amico, un collega, un compagno, che giorno dopo giorno si è ammalato lavorando duramente. Soltanto loro sono la vera memoria storica di quell’azienda: se soltanto volessero, potrebbero in un sol giorno dimostrare le connivenze che negli anni ci sono state tra azienda, sindacati, istituzioni, controllori e quant’altro. In un sol giorno potrebbero occupare la fabbrica, auto organizzarsi, prendere in mano la situazione e imporre a Riva di ripagare questo territorio, risarcendolo di tutti i danni subiti.

Potrebbero costringere questo Stato, sindacati, Confindustria e classe dirigente, a fare le persone serie per una volta nella vita, imponendo un piano di bonifiche da un lato e pianificare alternative economiche reali ed immediate dall’altro. Potrebbero, appunto. La nostra speranza è che riescano a trovare il coraggio per farlo. Ed anche per questo motivo è importante il supporto e l’azione della cittadinanza tutta. Perché il problema Ilva riguarda tutti noi in egual misura, anche se con interessi diretti e indiretti molto diversi. Ed è un bene che il comitato dei cittadini e operai liberi e pensanti anche ieri sia andato a fare volantinaggio all’esterno dell’azienda, per continuare a cercare quel dialogo che è essenziale in un momento storico come questo. Ai sindacati metalmeccanici c’è poco da dire. E tanto, troppo da rimproverare.

Anche loro, soprattutto loro così come le istituzioni, si sono mossi fuori tempo massimo. Provando ora a recuperare una credibilità che nessuno potrà mai restituir loro. Quello che provano a fare oggi, avrebbero dovuto farlo ogni giorno degli ultimi 17 anni. Invece di permettere che migliaia di operai, ancora oggi, siano costretti a subire le angherie di piccoli uomini, servi di un padrone che prova dal suo eremo lombardo a dettare ancora legge. Tutto questo oggi si può e si deve fermare. L’ingegnere dell’acciaio italiano e il suo impero economico rischiano di crollare da un giorno all’altro. Il nostro compito sarà quello di costruire sopra quelle macerie una città migliore, pulita, libera dai veleni e dal ricatto occupazionale. Felice, libera. E senza più malattie, morte e dolore.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 22 settembre 2012)

 

Gianmario Leone

 

Be the first to comment on "L’Ilva teme il potere operaio"

Tinggalkan komentar