Ilva, stop alle materie prime

TARANTO – Sono terminate ieri le operazioni di scarico delle materie prime dell’ultima nave autorizzata dai custodi giudiziali, ai pontili 2 e 4 del porto di Taranto in concessione all’Ilva, dopo la disposizione di blocco dei rifornimenti per i parchi minerali disposta dalla Procura la scorsa settimana. Da oggi infatti, tutte le navi in rotta verso lo scalo ionico, per scaricare le partite di carbon fossile e minerale di ferro dovranno essere autorizzate dagli stessi custodi come è precisato nella direttiva impartita all’azienda nei giorni scorsi. A quanto trapela da fonti aziendali, pare che un’altra nave sia già nella rada di Taranto e che altre sei sono in navigazione verso la città dei Due Mari salpate dal Brasile, che è il Paese dal quale l’Ilva si approvvigiona di materie prime per il funzionamento degli altiforni. Tutte queste navi, per effettuare le operazioni di scarico, dovranno essere eventualmente autorizzate dai custodi, che nel loro provvedimento hanno fatto espressamente riferimento alla possibilità di concedere una deroga rispetto al blocco, soltanto a fronte d’una richiesta da parte dell’azienda (“dovranno essere richieste formalmente, con congruo anticipo, sulla base di valutazioni tecniche di dettaglio, ai custodi che provvederanno all’autorizzazione”).

Lo stop al parco minerali imposto dai custodi giudiziali, é stato adottato per bloccare la diffusione di polveri verso la città e in particolar modo verso il rione Tamburi, da decenni investiti di carbon fossile e minerale di ferro che ogni giorno vengono stoccati a tonnellate all’aperto. Fattore che ha causato lo sforamento del PM 10 consentito per legge negli ultimi tre anni (la centralina di via Machiavelli a fine agosto ha già superato il limite annuale di 35 giorni di sforamenti possibili) e che come redatto nella perizia degli epidemiologi presentata lo scorso 30 marzo, provoca nella popolazione eventi di malattia e morte. L’azienda, tramite il presidente Ferrante, nell’ultimo vertice in Procura aveva presentato delle proposte (ridurre del 20% l’altezza dei cumuli di minerali presenti nei parchi e bagnatura 24 ore su 24) che erano state bocciate dai custodi. Che in quell’occasione notificarono altre due disposizioni all’azienda: primo, spostare l’intera area parchi lontano dal confine con il quartiere Tamburi (operazione che comporta investimenti per centinaia di milioni di euro e di difficile realizzazione); secondo, interrompere i lavori per la costruzione della barriera anti polveri, la cui posa della prima pietra avvenne lo scorso luglio, con il placet di enti locali e sindacati (che oggi hanno “improvvisamente” cambiato idea sposando l’opzione copertura) e con la curia tarantina impegnata a battezzare la nuova opera a “tutela” dell’ambiente da parte dell’Ilva. In settimana invece, l’Ilva dovrebbe presentare ai custodi il piano di investimenti concordato tra Ferrante e il patron Emilio Riva nell’incontro milanese di giovedì.

Nel piano saranno presentate nuove iniziative per risolvere momentaneamente il problema dello spolverio dei parchi: come quello di adottare un sistema computerizzato, utilizzato da anni negli altri siderurgici d’Europa, che consenta una maggiore umidificazione dell’area Parchi attraverso il posizionamento di una serie di cannoni ubicati tra i cumuli, oltre al miglioramento del sistema della filmatura. Soltanto in un secondo momento invece, dovrebbe essere presentato uno studio di fattibilità sulla copertura dei parchi: ovvero quello che custodi e Procura chiedono sin da subito. Staremo a vedere. Anche perché l’azienda continua ad avere un atteggiamento tutt’altro che conciliatorio, nonostante la fredda diplomazia mostrata dall’ex prefetto Ferrante. Nella riunione del tavolo istituzionale di ieri a Bari convocato dalla Regione venerdì a Bari, il presidente dell’Ilva ha affermato che a seguito del provvedimento il parco minerali é passato da una quantità di 2,5 milioni di materie prime stoccate a 1,7 milioni di tonnellate e che questa quantità e’ sufficiente ad assicurare la marcia degli impianti solo per 20 giorni. Attualmente l’altezza media dei cumuli di materie prime è di circa 14 metri. Sostenendo la peregrina tesi secondo cui “per quanto dicono i tecnici, se si abbassa il livello produttivo, o meglio il livello di funzionamento degli impianti, si inquina di più”. Cioè, l’Ilva sarebbe addirittura in grado di inquinare di più rispetto al recente passato, marciando a ritmo ridotto e producendo al minimo. Sarà. Per poi comunque specificare, tramite una specie di minaccia, che “c’é un limite di inquinamento minimo che va tenuto presente”.

Intanto, all’indomani del tavolo istituzionale di Bari e della nuova discesa del ministro dell’Ambiente Corrado Clini a Taranto, il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, ha diffuso nella giornata di sabato una nota ufficiale con l’intento di chiarire una volte e per tutte, almeno si spera, le modalità e le finalità del sequestro preventivo degli impianti del siderurgico tarantino. Dopo l’ultima direttiva emessa giovedì che “integra e chiarisce il contenuto delle precedenti direttive emesse, si stabilisce espressamente che si dia immediata e rapida attuazione al provvedimento di sequestro”, il procuratore ha motivato il nuovo intervento della magistratura a causa di alcune notizie apparse su certa stampa nella giornata di venerdì, che riportavano in maniera imprecisa il contenuto delle disposizioni impartite ai custodi-amministratori per l’attuazione del sequestro preventivo, sostenendo “una inesistente autorizzazione a continuare la produzione a livelli ridotti”.

Del resto, sia l’ordinanza del GIP che il tribunale del Riesame, hanno chiarito come “il sequestro impone l’eliminazione delle emissioni inquinanti e pericolosi e all’uopo – sottolinea il procuratore Sebastio – inibisce qualunque attività produttiva”. Per questo motivo, si ribadisce ancora una volta come l’utilizzo degli impianti “è consentito all’unico fine della bonifica degli stessi in vista della loro eventuale successiva riutilizzazione a fini produttivi, adottando tutte le cautele tecnicamente necessarie per evitare, ove possibile, il deterioramento o la distruzione degli impianti medesimi”. Onde evitare ulteriori “fraintendimenti”, il procuratore ha anche ricordato che il dispositivo di sequestro inibisce l’utilizzo degli impianti, compresi i parchi minerari. In merito alla direttiva di giovedì, ha infine precisato Sebastio, “segue e conclude il contenuto delle precedenti emesse da questo Ufficio il 29.7.2012 e il 1.9.2012. Ovviamente – conclude il procuratore – i custodi-amministratori provvederanno all’attuazione definitiva sulla base delle prescrizioni e degli interventi tecnici che saranno da loro determinati, così come peraltro disposto nei provvedimenti di sequestro emessi dal Gip e dal Tribunale del Riesame, riferendone a questo Ufficio”.

Avete altri dubbi sul futuro che attende l’Ilva? Speriamo proprio di no. Anche se a sentire le nuove dichiarazioni del ministro dell’Ambiente Clini, nutriamo più di qualche dubbio. “L’obiettivo è assicurare la continuità produttiva dello stabilimento Ilva in un contesto dirisanamento. Se l’impresa sarà collaborativa con i custodi – ha affermato Clini – sono convinto che eviteremo iniziative come la chiusura degli stabilimenti”. Qualcuno si adoperi per spiegare al ministro, magari tramite un bel diagramma di flusso, che l’Ilva non ha e non avrà facoltà d’uso degli impianti per produrre, fino a quando non avrà effettuato tutti gli investimenti richiesti. E che solo dopo attenta verifica degli stessi, la Procura potrebbe tornare a concedere la facoltà d’uso. Inutile sperare e lasciar credere a lavoratori e sindacati che con una nuova AIA o con la buona volontà da parte dell’azienda, la situazione possa cambiare in qualche modo: perché così non sarà.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 17 settembre 2012)

 

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