Ilva, Clini alleato insospettabile

TARANTO – “La parte offesa è l’ambiente, e chi lo rappresenta e dovrebbe tutelarlo é il ministro. Ministero, Regione, Provincia e Comune sono parti lese, che noi ci auguriamo di ritrovare dalla nostra parte nel processo”. Così si esprimeva esattamente una settimana fa il procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola, in occasione della conferenza stampa presso il comando provinciale dei carabinieri a Taranto, il giorno dopo l’emissione dei provvedimenti del GIP Patrizia Todisco.

Le motivazioni di tali affermazioni, trovavano spunto in una delle tante uscite folkloristiche del ministro all’Ambiente Corrado Clini, che poche ora prima aveva affermato quanto segue: “chiederò che il provvedimento di riesame avvenga con la massima urgenza”. Ignorando, tra l’altro, il fatto che non ha alcun potere per fare una cosa del genere. Ma il ministro dell’Ambiente Clini continua ancora oggi, pervicacemente, ad insistere sulla strada della difesa delle attività del siderurgico, esponendosi quasi fosse il ministro dell’Economia o addirittura un avvocato di parte. Dimenticando invece di essere la massima autorità statale in tema di tutela ambientale. Ed enunciando teoremi alquanto risibili.

Come ad esempio avvenuto ieri, quando ha affermato che i rischi ambientali riconducibili all’attività dell’Ilva di Taranto, “sono dei decenni passati, mentre è più difficile identificare una correlazione causa-effetto sull’eccesso di mortalità per tumori nell’area con la situazione attuale che, per effetto di leggi regionali e nazionali e misure ad hoc hanno avuto una evoluzione delle tecnologie con significative riduzioni delle emissioni, particolarmente della diossina e delle polveri”. Questo l’incipit del discorso del ministro che ieri mattina alla Camera, ha riferito sulla situazione del siderurgico, finito sotto inchiesta e sotto sequestro dopo i provvedimenti della magistratura tarantina.

In tutta onestà, non siamo riusciti a capire in base a cosa Clini affermi ciò. Visto che il provvedimento del GIP si basa su quanto osservato per 42 giorni nel mese di maggio del 2011 dai carabinieri del NOE, sulla perizia dei chimici dal giugno 2011 al mese di gennaio e su quella degli epidemiologi su un periodo che va dal 2004 al 2010. Inoltre, il continuo riferimento al passato, rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol, visto l’incarico ricoperto dal 1991 al 2011 dallo stesso Clini: direttore generale del ministero dell’Ambiente. Proprio quel ministero che lo scorso 4 agosto concesse quell’AIA che oggi tutti vogliono andare a rivedere e correggere. E contro la quale l’Ilva ha presentato ricorso al TAR di Lecce, peraltro accolto in parte dallo stesso tribunale.

Domanda: cos’ha fatto il ministro Clini nel suo decennio di attività presso il ministero? E’ dunque un altro il vero problema. E Clini non ha timore nell’ammetterlo: “l’Ilva è un impianto strategico per la siderurgia in Italia e molto importante a livello internazionale. I competitori sono francesi e tedeschi. Io credo che queste considerazioni debbano essere tenute presenti”. Ciò che appare certo, dunque, è il problema economico che scaturirebbe da un’eventuale chiusura dell’area a caldo dello stabilimento. Per quanto riguarda invece gli impatti sull’ambiente e sulla salute, per Clini si é ancora molto lontani dall’essere in possesso di una concreta e reale oggettività dei dati scientifici: “la situazione dell’Ilva ha evidenti impatti ambientali e probabili impatti sulla salute che vanno messi in relazione alle normative del tempo e alle autorizzazioni nel tempo ricevute dagli impianti, come è accaduto per tutti gli impianti del genere in Europa”.

Un ragionamento un po’ contorto, con Clini che ha osservato come la fabbrica sia stata “progressivamente autorizzata nelle sue diverse fasi secondo le leggi vigenti, per cui parte delle problematiche rilevate dalle indagine epidemiologiche danno conto di uno stato della salute della popolazione con evidenti eccessi di mortalità, che fanno riferimento presumibilmente a contaminazioni derivanti da impianti che operavano nel rispetto delle leggi”. Il che non cambia la sostanza del problema: perché l’Italia ha dei limiti molto al di sopra di quelli previsti in altri paesi. Dunque, lo Stato ha consentito all’Ilva di inquinare, pur sapendo le conseguenze che ciò avrebbe avuto sull’ambiente e sulla salute della popolazione. Ed è proprio quello che la magistratura vuole evitare per il futuro.

Su una cosa però Clini non sbaglia: quando punta il dito contro le lungaggini della burocrazia italiana nelle procedure di valutazione ambientale, che sono “molto lunghe se comparate con altri paesi europei e rischia di essere fuori fase rispetto a investimenti in tecnologie”. Stesso discorso per le bonifiche, che prevedono “procedure complesse, poco lineari”, con il processo sull’area dell’Ilva “iniziato nel 2003 e non ancora concluso”. Procedure, ha concluso il ministro, “che non danno risultati: su 57 siti da bonificare sono 3 o 4 casi di bonifiche avviate e 2 quelle realizzate”. Come se non bastassero le dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, in serata sono giunte anche quelle del ministero del Lavoro, Elsa Fornero. Di certo non nuova ad uscite quanto meno discutibili.

“Non possiamo cancellare l’Ilva come se fosse niente, perchè forse continua ad inquinare ambiente ed acqua. Dobbiamo avere risposte scientifiche”. Premesso che qui nessuno, nemmeno la magistratura, ha intenzione di cancellare l’esistenza del siderurgico in un sol giorno, le evidenze scientifiche esistono eccome. Per fortuna, sempre nella serata di ieri, è arrivata la replica di alcuni epidemiologici. Che hanno bollato le dichiarazioni del ministro Clini come “non corrette dal punto di vista tecnico-scientifico”. Ad affermarlo Benedetto Terracini, dell’Università di Torino, decano dell’epidemiologia italiana ora in pensione e Consulente del Comune di Taranto in occasione dell’incidente probatorio che ha avuto luogo il 30 marzo nell’ambito del processo all’ILVA, la dottoressa Maria Angela Vigotti dell’Università di Pisa, Consulente del Comune di Taranto e al dottor Emilio Gianicolo dell’IFC-CNR, Lecce, Consulente degli allevatori.

“Il ministro asserisce che gli effetti sulla salute riscontrati sono solo il risultato dell’inquinamento del passato, ma se è vero che gli eccessi tumorali attuali riflettono esposizioni avvenute circa 20-30 anni prima, il ministro ignora completamente i risultati dello studio sugli effetti a breve termine condotto dai consulenti del GIP che ha dimostrato l’effetto deleterio delle emissioni degli anni 2004-2008. Si tratta quindi di una cattiva interpretazione dei dati epidemiologici presentati nella perizia consegnata al GIP di Taranto, a totale beneficio, economico e giudiziario, degli interessi attuali della società ILVA”. Sarebbe interessante offrire un soggiorno gratuito di un mese ai due ministri presso le case del rione Tamburi di Taranto, che sono da sempre a ridosso dell’Ilva. Oppure uno stage di un mese all’interno dell’area a caldo. Così, anche solo per vedere l’effetto che fa. Magari alla fine potrebbero anche cambiare idea.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 2 agosto 2012)

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