Il prof. Federico Valerio: “A Genova la linea dell’Ilva non è passata”

“A Genova, nel 2002, solo grazie alla magistratura che ha ordinato la chiusura dei reparti più inquinanti (la cokeria), l’inquinamento è cessato. La salute di chi viveva sottovento è migliorata e generosi accordi con l’impresa hanno mantenuto un livello occupazionale accettabile”. E’ quanto dichiara Federico Valerio, chimico ambientale, perito dell’accusa nel procedimento che portò alla chiusura della cokeria di Genova, in un intervento pubblicato sul suo blog. Ne riportiamo una parte.

“Che Ilva di Taranto inquini non stupisce nessuno. La stessa Ilva autocertifica di emettere annualmente, nel pieno rispetto dei limiti di legge, 2.148 tonnellate di polveri, 8.800 tonnellate di idrocarburi policiclici aromatici, 15 tonnellate di benzene e svariate tonnellate di altri inquinanti. Il problema è che i periti chimici ed epidemiologici, nominati dalla magistratura, hanno appurato, senza ombra di dubbio, che diverse norme anti-inquinamento non sono rispettate e che questo ha prodotto gravi danni alla salute dei 18.000 abitanti che vivono nel quartiere a ridosso degli impianti siderurgici, il cui nome, oggi, suona come una beffa: Tamburi-Lido Azzurro.

I periti stimano che negli ultimi dieci anni (Riva ha acquisito le acciaierie di Taranto nel 1995) ci siano state 386 morti attribuibili alle emissioni delle acciaierie, mentre, nello stesso periodo, diverse centinaia sono stati i ricoveri ospedalieri per gravi malattie prodotte dall’esposizione ai numerosi inquinanti emessi in atmosfera dalle acciaierie (237 casi di tumori maligni, 247 infarti, 937 ricoveri per malattie respiratorie, 17 casi di tumori infantili). A questi danni sanitari si aggiunge la pesante contaminazione di diossine nei terreni agricoli circostanti, in gran parte riconducibile all’attività della acciaierie che, nel 2008, ha costretto all’abbattimento di 1.300 capi di bestiame, seguito nel 2010 dal divieto di consumare fegato di ovini e caprini allevati nel raggio di 20 chilometri dalle acciaierie, in quanto il bioaccumulo di diossine in quest’organo, avrebbe costituito un serio pericolo per chi lo avesse mangiato.

I periti della difesa cercheranno di smontare queste accuse puntando sul fatto che nell’area industriale tarantina non esiste solo l’acciaieria, ma nella zona ad ovest delle acciaierie, opera anche un cementificio ed una raffineria e per non farsi mancare nulla, c’e’ anche il traffico della superstrada. La stessa linea difensiva è stata usata a Genova, dove tutte le colpe sono state attribuite alle 30.000 automezzi che ogni giorno attraversavano il quartiere, ma questa linea non è passata, alla luce delle numerose contro-deduzioni che il sottoscritto, in qualità di perito dell’accusa presentò nel dibattimento che portò alla chiusura della cokeria di Genova.

I fatti diedero ragione a me, alla Procura e al Giudice che ordinò la chiusura: il giorno dopo lo spegnimento di tutti i forni della cokeria, l’inquinamento dell’aria, in particolare il benzene e il benzopirene (entrambi potenti cancerogeni umani) crollarono a livelli ampiamente al di sotto degli obiettivi di qualità e così continua ad essere anche a pochi metri dalla strada lungo la quale continuano a passare i 30.000 automezzi che nel 2002 erano in gran parte catalizzati.

I periti di Taranto hanno utilizzato la stessa strategia investigativa usata a Genova: per sfortuna degli inquinatori, anche gli inquinanti sono dotati di “impronte digitali chimiche”, le  composizioni relative di famiglie chimiche (composti organici volatili, diossine, policiclici aromatici, metalli pesanti) che sono diverse e spesso caratteristiche delle fonti che le hanno prodotte. Grazie ad accurate analisi chimiche e a sofisticati algoritmi è possibile attribuire ad ogni specifica fonte inquinante il proprio specifico peso sull’inquinamento trovato in un determinato punto del territorio in esame. A questo punto entrano in gioco gli epidemiologi che, in base alla concentrazione a cui è esposta la popolazione, stimano il danno sanitario che questa esposizione comporta.

In questi giorni la maggiore preoccupazione del ministro dell’Ambiente,  del presidente della Regione, dei sindacati, è quella di impedire la chiusura dell’attività produttiva. Pare che nessuno si preoccupi di capire se questa attività produttiva è compatibile con il rispetto degli obiettivi di qualità dell’aria e quindi della salute di chi quell’aria respira. Ancora una volta, in base all’esperienza genovese, possiamo prevedere quale sia la soluzione per Taranto.

La tecnologia delle cokerie di Taranto e di Genova è quella degli anni ’50, assolutamente inadeguata a rispettare i limiti di legge e almeno dieci volte più inquinante delle moderne cokerie che applicano la migliore tecnologia disponibile. Anche per queste nuove cokeria vale la regola, rispettata in gran parte del mondo e basata sul principio di precauzione, di costruire questi impianti ad almeno due chilometri di distanza da zone abitate e da usi del territorio sensibili, quali produzione agricola, allevamenti animali, allevamenti di molluschi, usi presenti a Taranto e già pesantemente penalizzati.

Temo di fare una facile profezia: prevarranno gli interessi industriali e il governo dei tecnici troverà qualche accorgimento tecnico (deroga, innalzamento dei limiti) per continuare a produrre, inquinando. E in questo caso l’unica bonifica sensata dovrebbe essere di trasferire tutti i 18.000 abitanti a rischio in una “New Tamburi” ad alcuni chilometri di distanza sopravento all’area industriale, ipotesi nient’affatto fantascientifica, visti i tempi: immaginate quanto tutto questo, inciderà sulla crescita del PIL. Comunque, continuare a produrre acciaio in questo modo non credo che sia una buona scelta per i lavoratori dell’Ilva, giustamente preoccupati di perdere il loro lavoro: la competitività mondiale nella produzione dell’acciaio non si vince con impianti obsoleti, prossimi alla rottamazione e poco efficienti, proprio perchè molto inquinanti”.

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