Ilva, è psicosi da sequestro

TARANTO – L’avviso arriva qualche minuto dopo le 9: “le organizzazioni sindacali presenti in ILVA stanno organizzando un’imminente iniziativa di agitazione”. Negli stessi istanti in fabbrica viene diffuso un volantino che invita alla partecipazione di massa per le due ore di sciopero proclamate dalle 10 alle 12, tranne che per il personale di comandata dell’area a caldo dove sono rimasti alcuni operai per tutelare l’integrità degli impianti, firmato FIM-FIOM-UILM. Ed all’orario stabilito, a migliaia escono dallo stabilimento, riservandosi nelle strade adiacenti lo stabilimento e bloccando gli accessi alla statale 106 che porta in Calabria, e quello della statale 7 Appia per Bari.

Un’invasione pacifica, che però in città viene interpretata come il segnale che ciò che in tantissimi temevano, si è verificato. Un tam-tam di voci del tutto incontrollate e infondate travolgono le redazioni dei giornali, i social network, alzando il livello di allarme quasi fossimo di fronte all’imminente fine del mondo. Ognuno vanta una sua fonte affidabilissima dentro l’Ilva o in Procura: e ciò che ne vien fuori è degno di un copione da Zelig. “Gli operai sono in strada perché i carabinieri hanno sequestrato gli impianti”; “è partito il sequestro, stanno mettendo adesso i sigilli”; “gli operai sono usciti dalla fabbrica e sono in marcia verso la città”; “a Taranto è in arrivo l’esercito per supportare i Carabinieri nel sequestro dell’impianto”; “gli impianti sono stati tutti fermati”; “un mio amico ingegnere dell’Ilva mi ha detto che è in corso il sequestro”: e così via all’infinito.

Intanto, dentro la fabbrica, gli impianti proseguivano la loro quotidiana marcia, con gli operai ai loro posti: di Carabinieri e sequestro nemmeno l’ombra. Addirittura, siamo arrivati all’assurdo che queste voci rischiano di compromettere l’incolumità degli operai, che in questi giorni vengono bombardati da continue telefonate di amici e parenti che pendendo dalle labbra di questi idioti fabbricatori di false notizie, contattano immediatamente i loro cari per assicurarsi che l’Apocalisse abbia avuto inizio. Aumentando la tensione e l’ansia di operai che nel frattempo certamente non sono in riva al mare. Né sono dietro un monitor a fare i leoni da tastiera, vigliaccamente in attesa dello scoppio di un dramma sociale, che comunque non li riguarderà, né li toccherà. E’ come se in città ognuno si sentisse protagonista di una vicenda che sino all’altro giorno ha ignorato per decenni, solo per il gusto di esserci. Come se volessero essere i primi a dare a tutti la notizia che aleggia nell’aria e sopra le teste di operai e cittadini da settimane, ma che sino ad oggi non ha trovato alcuna conferma. Senza capire che non stiamo parlando di gossip estivo, ma di Storia.

Di tutto questo, ancora una volta, dobbiamo ringraziare i sindacati, che da un lato continuano a stigmatizzare eventuali colpi di testa, mentre dall’altro aizzano gli animi attraverso comunicati in cui avvisano magistratura e società civile sul fatto che “nessuno potrà scrivere la parola fine alle attività del siderurgico Ilva a Taranto”. Ipocritamente sposando la strada di una fiabesca eco-compatibilità irraggiungibile, difendono a spada tratta il lavoro dopo essersi dimenticati per 60 anni di difendere la salute di chi ogni giorno si reca nella fabbrica dell’acciaio. Sono disposti a firmare e sottoscrivere leggi inutili, accordi capestro, inaugurazioni di impianti che a tutt’oggi non hanno cambiato la storia del siderurgico, né il suo impatto sull’ambiente. Ma proprio non ci riescono a mettere al primo posto la salute degli operai e dei cittadini. Perché per fare questo sanno perfettamente che, al di là di ciò che deciderà la magistratura, dovrebbero guardare in faccia la proprietà del gruppo Riva, rapportandosi da pari a pari. Cosa che né loro, né i politici hanno mai provato a fare.

Perché quelle migliaia di operai che ieri hanno invaso due delle arterie principali per l’ingresso in città, in realtà dovrebbero marciare contro la loro stessa proprietà, che per anni non ha rispettato né il diritto alla salute, né quello alla vita, inquinando liberamente e impunemente con il silenzio assenso di tanti, troppi. E’ unicamente per questi motivi se oggi “rischiano” di perdere il posto di lavoro (ammesso e non concesso che ci sia qualcuno che creda davvero alla chiusura degli impianti). Non è per colpa dei periti, né per colpa della magistratura, né per altri motivi. Ma anche qualora la politica salvasse ancora una volta capra e cavoli, i sindacati e le stesse istituzioni, non potranno di certo cantare vittoria. Perché quelle perizie, quegli studi, resteranno indelebili nella memoria storica di quella fabbrica e di questa città. Perché le ricerche e gli studi, la raccolta dati e le perizie continueranno, anche se a rilento. E un giorno la verità verrà fuori in tutta la sua potenza. E quel giorno dovranno comunque renderne conto. Se non alla Storia e a questa città, quanto meno alle loro coscienze.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 26 luglio 2012)

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