L’Enel si “copre”, l’Ilva no

TARANTO – Quante differenze possono esserci tra il più grande impianto siderurgico italiano e la più grande centrale termoelettrica italiana? Probabilmente nessuna. Se non magari da un punto di vista prettamente tecnico (produzione industriale, grandezza del sito, numero di operai, etc.), l’inquinamento prodotto e l’impatto devastante su ambiente e salute è molto simile. Eppure, non sempre è tutto così scontato. Proprio la scorsa settimana infatti (a volte le coincidenze della storia sono davvero incredibili), l’Ilva di Taranto e l’Enel di Brindisi hanno dato il via a dei lavori attesi e invocati da decenni dal territorio. Con un’unica grande differenza di base: da un lato, la volontà di provare in qualche modo a porre rimedio ai danni causati da decenni di produzione industriale; dall’altra il voler continuare a perseverare nell’errore in maniera del tutto gratuita e diabolica.

Lo scorso 7 luglio dunque, nella centrale a carbone Enel Federico II di Brindisi sono iniziati i lavori per la realizzazione dei carbonili coperti, grazie ai quali sarà limitata la dispersione di polveri inquinanti nell’ambiente. Investimento previsto, 120 milioni di euro. I due carbonili a cupola (chiamati “the dome”, in inglese appunto “cupola”) saranno realizzati in legno lamellare: tempo previsto per la realizzazione dell’opera 39 mesi, con impiego di 300 nuovi lavoratori. I nuovi carbonili, interamente automatizzati, saranno realizzati in adiacenza e sostituzione dell’attuale parco di stoccaggio del combustibile che verrà dismesso al completamento delle nuove installazioni. Ogni cupola avrà un diametro di 145 metri e circa 50 di altezza, per una capacità di stoccaggio di circa 180.000 tonnellate di combustibile. Saranno inoltre installati nuovi nastri trasportatori e torri dello stesso tipo di quelli già esistenti.

A conclusione dei lavori i nuovi carbonili soppianteranno l’attuale parco di stoccaggio del combustibile che verrà definitivamente dismesso al completamento delle nuove installazioni. Si badi bene: lungi da noi voler plaudire o sostenere un’azienda come l’Enel, che ha atteso decenni per decidersi a dare il via a dei lavori che sarebbero dovuti essere previsti sin dalla sua nascita, qui si vuole sottolineare semplicemente che, se in tutti i soggetti che operano su un territorio c’è la reale volontà di cambiare e migliorare l’esistente, anche se a suon di milioni di euro, tutto si può fare. Qui stiamo parlando di quella che l’EEA, l’Agenzia Europea per l’ambiente, nel 2009 ha stimato essere l’azienda più inquinante presente in Italia per CO2, NOx, SOx, PM10, NH3. Al secondo posto, ovviamente, l’Ilva di Taranto (che però primeggia per altri per altri tipo di inquinanti come ben sappiamo).

Nel 2007 arrivò anche il divieto di coltivazione e distruzione delle colture disposto da un’ordinanza del sindaco di Brindisi a causa dell’inquinamento dell’area (qui il divieto di pascolo e coltivazione è stato invece emesso nel 2010 dalla Regione Puglia per un’area prevista nel raggio di 20 km dalla zona industriale). Anche a Brindisi, inoltre, è in corso un’indagine della magistratura, che conta quindici iscritti nel registro degli indagati fra dirigenti Enel e imprenditori addetti alla movimentazione del carbone per, guarda caso, “getto pericoloso di cose, danneggiamento delle colture e imbrattamento delle abitazioni”. Secondo il pm incaricato, così come per il perito Claudio Minoia, “la relazione fra il combustile che alimenta la centrale e la dispersione delle polveri nere sui campi è netta, evidente”. In fase di verificazione, guarda caso, il nesso causale fra malattie e morti a causa della presenza della centrale Federico II. Il pm ha incaricato un consulente tecnico, il medico legale del policlinico di Ancona Raffaele Giorgetti, di pronunciarsi sul cancro alla prostata e ai polmoni che ha causato il decesso di sei proprietari di terreni adiacenti all’impianto industriale.

Le conclusioni di Giorgetti andranno confrontate con quelle di un dossier prodotto da Medicina democratica nel 2008, citato nell’esposto degli agricoltori in cui si legge che “l’emissione di anidride carbonica è 15 volte superiore alla soglia solo nella centrale Enel di Cerano. L’arsenico, il cadmio, il cromo, gli idrocarburi policiclici aromatici e il benzene, tutti cancerogeni in grado di provocare diversi tipi di tumori, superano abbondantemente la soglia”. Conclusioni opposte a quelle dei periti interpellati dall’Enel, che hanno dichiarato come semplicemente “indimostrabile il nesso fra la presenza della centrale e le morti per tumore, patologia fra l’altro drammaticamente diffusa in tutto il territorio brindisino”. Tutto questo vi ricorda qualcosa? Il fatto è che a Brindisi, forse, hanno deciso di investire realmente su qualcosa di concreto (l’Enel dal 2006 ha previsto un piano investimenti per 500 milioni di euro) a favore di una maggiore tutela del territorio e della saluta dei cittadini. Anche grazie ad un’attività continua e seria che da tempo contraddistingue i politici e gli ambientalisti della provincia di Brindisi. E’ inutile e scontato sottolineare come stiamo parlando di aziende dalle dimensioni molto differenti.

Qui da noi, invece, ognuno continua a recitare il suo ruolo in una ridicola commedia che va avanti da decenni, il cui copione è sempre, inesorabilmente lo stesso. Il tutto in attesa delle decisioni che prenderà la Procura di Taranto: almeno noi però, non parteciperemo allo scandaloso teatrino che in questi giorni hanno messo in scena l’azienda, i sindacati, i politici, gli ambientalisti e i mass media, che rincorrono disperatamente il dramma imminente, quando basterebbe leggersi attentamente e seriamente le carte (ad esempio le due perizie dell’incidente probatorio), per capire come il processo sarà lungo e complicato, ma che niente di catastrofico accadrà. E così, mentre a Brindisi avveniva quanto su spiegato, proprio nelle stesse ore nell’Ilva di Taranto si svolgeva in gran segreto la “cerimonia inaugurale” della posa della prima pietra per l’avvio dei lavori di montaggio della barriera di contenimento delle polveri, operazione conosciuta ai più con il termine di “barrieramento”: costo totale dell’opera, 8 mln di euro.

Per il siderurgico sarà dunque sufficiente costruire delle barriere frangivento lungo il perimetro dei parchi minerali, in concomitanza con il completamento delle famose colline ecologiche, per risolvere il problema della dispersione delle polveri (teloni di ben 21 metri disposti per un’estensione di 1600 metri lungo il fronte delle strade per Grottaglie e Statte). In realtà, come tutti sanno e in primis l’Ilva, ad essere intercettate sarebbero soprattutto le polveri pesanti aero disperse e solo nella misura del 50-70%. Per le polveri sottili, dunque, il problema resterebbe irrisolto. E, “casualmente”, sono proprio queste ultime (PM 10, PM 2,5, PM 0,1) le più insidiose per la salute umana in quanto più facilmente si incuneano nelle vie respiratorie veicolando sostanze altamente inquinanti e spesso cancerogene. Inoltre, la disposizione dei teloni avverrà a valle e non a monte dei parchi minerali: ma anche qualora venissero posti a monte, in realtà il loro compito consisterebbe più in un “contenimento del vento” che in una vera e propria barriera contro la diffusione delle polveri, visto che riuscirebbero ad intercettare le correnti orizzontali e non quelle verticali. Diversi studi (SIDRIA, APHEA, MISA 1 e 2, SISTI) hanno accertato la correlazione tra aumento dei livelli di PM10 e diverse patologie nel breve periodo con effetti sia in termini di ricoveri che di decessi.

Particolarmente interessate sono malattie respiratorie e cardiache nel loro complesso, nelle quali Taranto risulta tra le prime città in Italia ad essere colpita con maggiore incidenza. Grazie alle “polveri che si diffondono in maniera non controllata dal parco minerali a cielo aperto, situato a pochi metri di distanza dal quartiere Tamburi”. I periti chimici hanno messo nero su bianco che sono 668 le tonnellate di polveri che ogni anno si disperdono nell’atmosfera: zona che, secondo la perizia, per poter continuare a operare “dovrebbe essere coperta e dotata di impianti di aspirazione e trattamento delle polveri emesse”.

Ma l’Ilva, forte del fatto che tali indicazioni non sono state inserite nelle prescrizioni previste nell’AIA dello scorso luglio (dove è stato inserito il barrieramento e non la copertura dei parchi minerali nel “Programma di interventi per la riduzione delle emissioni”), procede tranquillamente per la sua strada. Ignorando i problemi di interi quartieri abitati da migliaia di persone (Tamburi e Paolo VI), oltre che dei circa 400 operai che lavorano negli otto parchi presenti nell’area del siderurgico (quattro fossi e quattro minerali). Certamente il problema non è di natura tecnica, visto che la copertura dei parchi minerali è del tutto fattibile come dimostrò un apposito progetto presentato nel 2005 dal Politecnico di Taranto che prevedeva la realizzazione di particolari tensostrutture.

E allora? Allora succede che qui, a Taranto, amiamo troppo le polemiche, l’essere sempre protagonisti, il parlarci addosso per anni, il non avere il vero coraggio di metterci in gioco per provare davvero a cambiare le cose. Perché viviamo da sempre in un tessuto in cui si intrecciano i fili di interessi grandi e piccoli che riguardano una comunità intera. E a cui nessuno è realmente disposto a rinunciare. State tranquilli, dunque. Alla fine, provvedimenti della Procura o meno, riapertura dell’AIA rivista o meno, nulla cambierà davvero. Almeno non nel breve volgere del tempo.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 12 luglio 2012)

 

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