Ilva, the show must go on – Cerimonia inaugurale per il barrieramento

TARANTO – “Lo spettacolo deve andare avanti”. Dopo il convegno di “livello internazionale” organizzato mercoledì dal Centro Studi Ilva, dal fantasioso titolo “Diossina e salute, le esperienze internazionali”, in cui tre esperti americani hanno candidamente affermato che “sulla scorta dei dati in nostro possesso e in base a quelli forniti dall’Ilva, la situazione ambientale di Taranto non appare critica”, ieri mattina il siderurgico ha vissuto un altro “importante” momento della sua storia tarantina. E’ infatti avvenuta in gran segreto la “cerimonia inaugurale” con la posa della prima pietra per l’avvio dei lavori di montaggio della barriera di contenimento delle polveri, operazione conosciuta ai più con il termine di “barrieramento”. Presenti il Sindaco di Taranto (atteso invano per ore ieri mattina dai mitilicoltori), il vice presidente della Provincia, il presidente di Confindustria, i segretari Generali CGIL, CISL e UIL, i Segretari Confederali dei metalmeccanici, le istituzioni e le Autorità locali, nonché Mons. Marco Gerardo che ha simpaticamente benedetto il tutto.

Sinceramente, però, non riusciamo proprio a capire il perché di tanto entusiasmo. O forse, molto più semplicemente, i nostri prodi sanno perfettamente cosa stanno facendo: e per questo si riuniscono in “gran segreto”, lontano da occhi indiscreti. Perché il gioco qui, è sempre uguale: come per la legge anti-diossina, pur sapendo che non è scientificamente valida, si può sempre rispondere con un laconico e incontrovertibile “ma prima non c’era nemmeno quella”. Sarà. Il problema, così come il progetto in questione, non sono affatto nuovi: basti pensare, ad esempio, che del problema delle polveri dei parchi minerali si parlava già nei famosi atti d’intesa (gennaio 2003, febbraio e dicembre 2004) sottoscritti da Ilva, Regione Puglia, Provincia, Comune di Taranto e sindacati, che di fatto regalavano alla famiglia Riva il ritiro della parte civile di Comune e Provincia nel 2005 dal processo che portò alla condanna dell’azienda da parte della Cassazione il 28 settembre dello stesso anno.

La sollecitazione alla risoluzione del problema la ritroviamo anche nell’Atto d’Intesa Integrativo del 23 ottobre 2006, per poi vederlo ricomparire nel testo della famosa legge regionale anti-diossina del dicembre del 2008: ma dal 2003 ad oggi, nulla è stato fatto in tal senso. Con l’unico risultato di vedere un intero quartiere, i Tamburi, ricoperti di minerale in ogni dove. Il perché di tutto questo è presto detto: l’Ilva si rifiuta, da sempre, di procedere alla copertura dei parchi minerali. Per l’azienda siderurgica, e non solo per lei, sarà sufficiente costruire delle barriere frangivento lungo il perimetro dei parchi minerali, in concomitanza con il completamento delle famose colline ecologiche. Il problema è un altro: seguendo il percorso tracciato dall’Ilva infatti, ad essere intercettate sarebbero soprattutto le polveri pesanti aero disperse e solo nella misura del 50-70%. Per le polveri sottili, dunque, il problema rimarrebbe irrisolto. E, “casualmente”, sono proprio queste ultime (PM 10, PM 2,5, PM 0,1) le più insidiose per la salute umana in quanto più facilmente si incuneano nelle vie respiratorie veicolando sostanze altamente inquinanti e spesso cancerogene.

Il “progetto” dell’Ilva prevede anche un potenziamento dei meccanismi di irroramento e filmatura dei cumuli di minerali stoccati nei parchi (così come stabilito dagli atti d’intesa e dalla legge regionale anti-diossina): ma siamo sempre di fronte a misure palliative e null’altro. Non va poi dimenticato l’impatto paesaggistico che avrebbe la realizzazione di questo progetto: le barriere frangivento altro non sono che teloni dotati di un’altezza di ben 21 metri disposti per un’estensione di 1600 metri lungo il fronte delle strade per Grottaglie e Statte. Inoltre, il progetto dell’Ilva prevede la disposizione dei teloni a valle e non a monte dei parchi minerali: ma anche qualora venissero posti a monte, in realtà il loro compito consisterebbe più in un “contenimento del vento” che in una vera e propria barriera contro la diffusione delle polveri, visto che riuscirebbero ad intercettare le correnti orizzontali e non quelle verticali.

Non solo. E’ bene tornare a ricordare come anche nel 2011, le due centraline di monitoraggio di via Archimede e via Machiavelli hanno registrato superamenti dei limiti di legge previsti per la media giornaliera su base annuale di PM10: 40 in via Archimede e 45 in via Machiavelli. Dati che nella pratica rappresentano un rischio sanitario per la popolazione esposta. Diversi studi (SIDRIA, APHEA, MISA 1 e 2, SISTI) hanno infatti accertato la correlazione tra aumento dei livelli di PM10 e diverse patologie nel breve periodo con effetti sia in termini di ricoveri che di decessi. Particolarmente interessate sono malattie respiratorie e cardiache nel loro complesso, nelle quali Taranto risulta tra le prime città in Italia ad essere colpita con maggiore incidenza.

Anche il procuratore capo della Procura di Taranto, Franco Sebastio, nella lettera inviata alle istituzioni dopo la perizia dei chimici nell’inchiesta in corso sull’Ilva disposta dal Gip Patrizia Todisco, ha parlato di “polveri che si diffondono in maniera non controllata dal parco minerali a cielo aperto, situato a pochi metri di distanza dal quartiere Tamburi”. I periti chimici hanno messo nero su bianco che sono 668 le tonnellate di polveri che ogni anno si disperdono nell’atmosfera da questa area in cui l’azienda deposita piccole montagne di minerale di ferro e di carbone, materie prime che servono per la produzione dell’acciaio. Una zona che, secondo la relazione, per poter continuare a operare “dovrebbe essere coperta e dotata di impianti di aspirazione e trattamento delle polveri emesse”.

Ma l’Ilva, forte anche del fatto che tali indicazioni non sono state inserite nelle prescrizioni previste nell’AIA dello scorso luglio (dove però è stato inserito il barrieramento e non la copertura dei parchi minerali nel “Programma di interventi per la riduzione delle emissioni”), procede tranquillamente per la sua strada. Ignorando i problemi di un intero quartiere composto da migliaia di persone, oltre che dei circa 400 operai che lavorano negli otto parchi presenti nell’area del siderurgico (quattro sono parchi fossi e quattro quelli minerali). Certamente il problema non è di natura tecnica, visto che la copertura dei parchi minerali è del tutto fattibile come dimostrò un apposito progetto presentato nel 2005 dal Politecnico di Taranto che prevedeva la realizzazione di particolari tensostrutture.

Ma l’azienda della famiglia Riva, non è l’unica ad ignorare tale situazione: il sindaco in base al suo status di massima autorità sanitaria locale (previsto dalle leggi n. 833/1978 e n. 112/1998) e la Regione con il piano di azione previsto dal Decreto Legislativo 155/2010, avrebbero il dovere di intervenire per tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini di Taranto. Avrebbero, appunto.  Ma le nostre istituzioni hanno deciso già da che parte stare: ovvero a braccetto dell’Ilva, che per loro continua ad essere “un modello europeo”. Dimentichi che sino all’altro giorno ha chiesto la riapertura del procedimento AIA, all’interno del quale inserire, stranamente, la copertura dei parchi minerali.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 6 luglio 2012)

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