Ilva, AltaMarea rientra nel riesame dell’Aia

Nicola Riva, attuale presidente di Ilva SpA, ha dichiarato “Ridicolo rivedere l’Aia”. Questo giudizio sprezzante verso il decreto di un ministero della Repubblica Italiana è esemplificativo del comportamento di una multinazionale adusa, nei fatti, a ritenere Taranto una colonia. AltaMarea invece rispetta le Istituzioni italiane e rispetta soprattutto i cittadini di Taranto, succubi della grande industria responsabile della maggior parte dell’inquinamento di origine industriale, definito deleterio per la salute dei lavoratori e dei cittadini dalle perizie epidemiologiche ordinate dal Tribunale di Taranto nel corso dell’incidente probatorio contro l’Ilva.

AltaMarea, in qualità di “pubblico interessato”, con una relazione di 8 pagine trasmessa al Ministero dell’ambiente con posta elettronica certificata, entra dunque nel procedimento del “Riesame dell’AIA di Ilva Taranto” e lo ritiene l’occasione opportuna per cambiare completamente il corso della vicenda. Occasione tanto importante da avere provocato la “strigliata” del segretario generale della FIOM nazionale Landini ai vertici sindacali locali, finora appiattiti sulle posizioni aziendali e disinteressati ai contenuti dell’AIA. L’intera relazione di AltaMarea è a disposizione di chiunque sia interessato a conoscerla in dettaglio. Qui si riporta la sintesi delle conclusioni.

I punti messi in luce dalle perizie tecniche ed epidemiologiche d’ufficio presentate in Tribunale coincidono nelle motivazioni, contenuti e qualità con punti posti da AltaMarea all’attenzione di Ministeri, Regione Puglia, Enti locali e pervicacemente ignorati nell’AIA rilasciata ad Ilva Taranto. La questione “Ilva di Taranto” è talmente complessa ed importante che non può essere trattata come “pronto soccorso” per fronteggiare un singolo evento catastrofico ed improvviso, ma comporta la necessità di deliberare urgentemente il Piano Straordinario per porre rimedio alla tragedia del presente e del futuro della città di Taranto e della sua provincia. Tale tragedia è la conseguenza  di cinquanta anni di insipienza dello Stato e della classe dirigente di Puglia e di Taranto e di oltre un decennio di strapotere della famiglia Riva, ora proprietaria del Centro siderurgico Ilva di Taranto.

I costi di uno sviluppo selvaggio e maldestro sono ricaduti sulla collettività e pagati in termini di inquinamento, morti, danni alla salute e all’integrità sociale, da tempo denunciati invano ed ora certificati dalle già citate perizie del Tribunale di Taranto.
Il “pubblico interessato” vuole evitare che l’ipotizzato nuovo “Tavolo tecnico” per Taranto produca l’ennesimo, inconcludente documento che non affronta il problema dei problemi, insito nella contrapposizione tra il valore strategico nazionale delle grandi aziende presenti nel territorio ma assolutamente incompatibili con l’adiacente abitato e l’incomprimibile valore individuale del diritto alla salute degli abitanti e degli stessi lavoratori.

L’enormità della questione, finora, ha paralizzato tutti, indipendentemente dalla buona o mala fede dei singoli protagonisti, più o meno consapevoli che il perdurare della paralisi non può che portare alla scomparsa della città. Dalla paralisi occorre uscire con una terapia d’urto dolorosa ma efficace, l’exit strategy, l’unica per un futuro per la città.

Il danno arrecato alle persone e ad aria, acqua, suolo e sottosuolo di Taranto, fin nella falda, è accertato in maniera inequivocabile. Il “pubblico interessato” chiede il giusto risarcimento per la città e la garanzia della sopravvivenza dei cittadini e dei lavoratori, a cominciare dalla bonifica delle aree e delle acque inquinate e dallo stop all’inquinamento.

Necessiterà molta mano d’opera, per la gigantesca messa in sicurezza della falda e per l’enorme decontaminazione dei terreni. Sarà una «Grande Opera» a carico sia di chi ha inquinato impunemente negli anni passati, sia di chi ha continuato a produrre ed inquinare, realizzando profitti non confrontabili con le poche risorse effettivamente impiegate per la tutela ambientale.

Come “pubblico interessato” desideriamo sostenere direttamente queste ragioni perché sappiamo che molta parte della cittadinanza tarantina non si sente rappresentata, per la storia passata e presente, né dai rappresentanti dei Ministeri interessati, né dalle Istituzioni regionali e locali, né dalle forze sociali e sindacali, tutti omissivi e conniventi con gli avvelenatori a danno dei cittadini.
Al Ministro dell’ambiente chiediamo di:

–   ritirare “per autotutela” il decreto di rilascio dell’AIA ad Ilva Taranto per cui decade tutto quanto in esso indicato, inclusa l’autorizzazione relativa all’abnorme capacità  produttiva di 15 milioni di tonn/anno di acciaio e la brutta storia del sistema di gestione ambientale ritenuto valido per l’intero ciclo produttivo anziché per la sola parte di ciclo produttivo dalle bramme di colata continua in avanti;

–   diffidare l’Ilva, dal mantenere in esercizio impianti che inquinano aria, terra ed acqua e danneggiano gravemente la salute come scarichi a mare, parchi primari a cielo aperto, cokerie, impianti di agglomerazione, acciaierie e altri impianti dalle emissioni diffuse e fuggitive. E’ da sottolineare che non è più tollerabile, come lo è stato in passato, il ricorso ad azioni di ogni genere, volte a ritardare il rispetto di norme che tutelano la salute;

–   rinnovare l’attuale Commissione IPPC presieduta da un oscuro giovane ingegnere conterraneo dell’ex ministro che l’ha nominato nonostante che nel curriculum tecnico scientifico vantasse, all’epoca della nomina, solo un incarico di ricercatore di una piccola università privata in un territorio influenzato dall’ex ministro. I componenti della commissione IPPC, per legge, devono essere adeguati ai compiti e funzioni di chi deve occuparsi delle 200 più importanti aziende italiane e non essere in conflitto di interesse. La Commissione in carica, forte della tutela esercitata dal ministro dell’ambiente dell’epoca, si è dimostrata inadeguata e sfacciatamente schierata a tutela degli interessi aziendali, in spregio alla salute dei lavoratori e dei cittadini;

–   sostituire il RUP, dimostratosi incapace di assumere un ruolo autenticamente terzo e imparziale, come compete a qualunque appartenente alle Istituzioni;

–   eliminare l’assurdità di una parte importante della normativa vigente sull’AIA che consente al Ministro dell’ambiente di fare impunemente il bello e il cattivo tempo. “Il rilascio dell’autorizzazione costituisce un atto amministrativo e non politico. In evidente spregio ai principi sulla competenza, imparzialità, separazione dei poteri tra organi politici e amministrativi, le AIA di competenza statale, come quella di Ilva Taranto, sono rilasciate direttamente dal Ministro dell’ambiente in persona, com’è avvenuto per Ilva Taranto da parte dell’On. Stefania Prestigiacomo.

La responsabilità in capo al Ministro di cui all’art. 95 Cost. sta ad indicare un continuum, fra l’organo di governo e quello di amministrazione al (solo) fine di garantire l’unità di indirizzo ma senza pregiudicare, come avvenuto in tale circostanza, l’attribuzione di poteri prettamente amministrativi di esclusiva responsabilità degli organi dirigenziali preposti.

Invece è il ministro dell’ambiente che nomina, da solo, la Commissione IPPC. Tale Commissione ha la responsabilità di svolgere l’istruttoria tecnica e giuridica, cosa che fa autonomamente, senza alcuna validazione di merito da parte della struttura ministeriale. Di fatto, quindi, sull’AIA la struttura ministeriale è completamente esautorata dal ministro politico che bada solo al tornaconto proprio e della fazione di appartenenza e non di quello dei cittadini.

Biagio De Marzo, presidente di “ALTAMAREA”

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