Dove osano gli avvoltoi – Le novelle del trio Vendola, Florido e Stefàno

TARANTO – L’incontro di sabato presso la sede della Presidenza della Regione Puglia a Bari, che ha visto coinvolti il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, il Sindaco di Taranto Ezio Stefàno e il Presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, ha partorito l’ennesima tristissima boutade delle nostre istituzioni in merito all’ambiente. D’altronde, dopo la prima udienza dell’incidente probatorio svoltasi venerdì scorso presso il tribunale di Taranto in merito all’inchiesta portata avanti dalla Procura sull’inquinamento prodotto dall’Ilva di Taranto, era scontato che avremmo iniziato ad assistere ad un mettere le mani avanti da parte di tutti coloro i quali, per motivi diversi, si sentono chiamati in causa ed inchiodati alle loro responsabilità, economiche, politiche e storiche. E che hanno preferito ancora una volta riunirsi a Bari, piuttosto che avere il coraggio di venire a Taranto per parlare di cose strettamente legate a questo territorio, cercando il confronto diretto con i giovani di questa città che venerdì hanno dimostrato di essere per fortuna anni luce lontani da certi ambienti e certa politica.

Lo slogan utilizzato da Vendola, Florido e Stefàno è stato ancora una volta lo stesso: “Il nostro obiettivo è quello di mettere in equilibrio diritto al lavoro e diritto all’ambiente e alla salute”. Che poi è identico a quello di Confindustria e sindacati. Ovvero sostenere quella famosa eco-compatibilità che ancora oggi non abbiamo capito in cosa consista realmente. Anche perché poggia su presupposti alquanto discutibili. “Regione, Provincia e Comune in questa vicenda condividono una linea di condotta che è quella che ci ha portato a ottenere oggi i più bassi limiti di emissione delle diossine che si possano registrare in Europa e a contenere in maniera drastica i limiti delle emissioni del benzopirene e di PM10. Sull’Ilva abbiamo prodotto, in questi anni, un bombardamento di richieste e di iniziative tese ad ambientalizzare gli apparati produttivi”. Premesso che già nel testo della legge regionale sulla diossina del 2008 si prendevano ad esempio Stati europei ed aziende che dal 2004 raggiungevano livelli di emissioni di diossina tra gli 0,2 e gli 0,5 nngr/m3, è oramai alquanto stucchevole dover puntualmente ricordare a Vendola & co. che tre o quattro campionamenti all’anno sulla diossina emessa dall’Ilva di Taranto è un dato statisticamente irrilevante e scientificamente inattendibile.

Inoltre, appare chiaro che i tre siano alquanto disinformati in materia di benzo(a)pirene, visto che venerdì scorso, durante la prima parte dell’incidente probatorio, i pm hanno depositato presso la cancelleria del gip l’ennesima relazione tecnica prodotta da Arpa Puglia sul monitoraggio dell’aria nella città di Taranto con particolare riferimento agli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) ed al benzo(a)pirene, durato di circa otto mesi attraverso l’installazione di sette centraline in diversi punti della città (con oltre 2300 prelievi ed analisi di laboratorio). Ed ancora una volta la sorgente emissiva di Ipa principale è stata individuata nella cokeria. Addirittura le rilevazioni di benzo(a)pirene negli ambienti della cokeria hanno evidenziato valori da uno a tre volte superiori rispetto a quelli riscontrati in città. Gli Ipa provenienti dall’Ilva sarebbero 80 volte superiori a quelli provenienti dalle altre industrie. Superiore è anche il confronto relativo al benzo(a)pirene, mentre la diossina è risultata tre volte superiore. Infine, vogliamo anche ricordare che in merito al PM10, le due centraline di monitoraggio di via Archimede e via Machiavelli hanno registrato superamenti dei limiti di legge previsti per la media giornaliera su base annuale: 40 in via Archimede e 45 in via Machiavelli, quando dovrebbero essere al massimo 35. Come si può notare dunque, da questi semplicissimi esempi (ne potremmo fare decine ma sarebbe tedioso per chi legge ed umiliante per altri) si evince come, ancora una volta, si portino esempi del tutto limitati se non addirittura clamorosamente falsi per sostenere una tesi, quella della eco-compatibilità, che fa acqua da tutte le parti.

Ma ciò che ci preoccupa più di ogni altra cosa, è la sottile operazione dialettica messa in atto da Vendola, Florido e Stefàno, che prendendo ad esempio la politica degli anni ’70, hanno iniziato ad immaginare contrapposizioni e conflitti sociali futuri per questa città, in modo da offuscare le responsabilità e le colpe di una classe dirigente a tutt’oggi silente nei confronti dell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Taranto. “Siamo all’indomani di diversi fatti che raccontano la contraddittorietà e la drammaticità di una condizione: da un lato, alcuni lavoratori somministrati che minacciano di lanciarsi dal ponte e che chiedono di poter rientrare a lavorare all’Ilva; e dall’altro l’incidente probatorio, che è frutto di un’iniziativa del Comune di Taranto, che è teso a verificare quale siano le ragioni di inquinamento in città. Abbiamo, cioè, i due corni del problema: la domanda di lavoro e la domanda di ambiente e di salute. Il nostro lavoro, in questi anni, è stato sempre quello di tentare di mettere in equilibrio il diritto al lavoro e il diritto all’ambiente, perché sappiamo bene che rompere questo equilibrio vuol dire produrre una ferita, significa vedere sconfitte le ragioni di chi vuole cambiare, ma anche avere la possibilità di vivere e lavorare”.

Ma di cosa state parlando? Possibile che la vostra boria e superbia politica non conosca limiti e sia pronta ad utilizzare a vostro uso e consumo anche le situazioni più drammatiche pur di mettervi a riparto da tutto e tutti? Punto primo: quei lavoratori protestavano perché non era stato rispettato un accordo siglato 14 mesi fa e non perché bramavano all’idea di tornare a lavorare dentro l’Ilva. Protestavano perché venissero riconosciuti i loro diritti e lo avrebbero fatto per qualunque tipo di lavoro. Punto secondo: possibile che ancora oggi la politica sia in grado di considerare come unica realtà lavorativa possibile per i cittadini di Taranto quella della grande industria? E poi, di grazia, possibile che per l’ennesima volta giochiate con i diritti inalienabili dell’uomo? Ma davvero volete convincere qualcuno del fatto che il diritto al lavoro sia più importante del diritto alla vita ed alla salute? Davvero pensate che un sito industriale che nel raggio di centinaia di metri comprende la più grande industria siderurgica europea, la più grande raffineria del Sud Italia ed un cementificio, anche con le migliori tecnologie in assoluto, possa realmente essere compatibile con l’ambiente circostante? Possibile che non riusciate a comprendere che anche con tutte le emissioni nei limiti di legge si continuerebbe comunque ad inquinare? E che tutto l’inquinamento sin qui prodotto per essere debellato avrebbe bisogno di un ambiente senza più industrie per i prossimi 100 anni come minimo?

Il bello è che sono talmente convinti delle loro idee che vogliono anche convincerci che sono loro ad essere nel giusto e noi nel torto. “Bisogna rendere chiaro, anche ai cittadini, che quello che noi abbiamo fatto riguarda il futuro, attiene a ciò che da ora in poi i camini sputeranno nell’atmosfera”: vuoi vedere che da domani dagli oltre 200 camini presenti nell’Ilva di Taranto usciranno essenza profumate per le nostre narici e melodie sublimi per le nostre orecchie? Il finale, poi, è tutto un programma. “Abbiamo bisogno di cominciare il lavoro sulle bonifiche della città: questa è una pressante richiesta che noi continuiamo a rivolgere al Governo centrale, perché si possa rapidamente definire la provvista finanziaria e si possa far partire il ciclo delle bonifiche”. Ah bhé: le bonifiche, certo. Un’idea geniale quella di iniziare a bonificare aree inquinate, la cui fonte inquinante è ancora attiva al 100%. E poi con quali soldi e con quali metodi scientifici si vogliono fare le bonifiche non è dato sapere. Così come non è dato sapere da quali aree si vorrebbe partire.

Insomma, i soliti proclami sparati lì a caso, senza alcun criterio. Poi, all’ultimo, resisi conto forse di averle sparate troppo grosse, i tre dicono finalmente qualcosa di sensato: “Non saranno certo le iniziative di oggi che ci salveranno da quello che è accaduto negli ultimi cinquant’anni. Dal punto di vista epidemiologico gli effetti dell’inquinamento dureranno per molti decenni, quello che noi stiamo facendo purtroppo non cancella la ferita che è stata inferta dalla storia industriale di Taranto”. Perché qualcosa ci dice che sarebbero in grado di fare anche quello se solo ne avessero i mezzi e le potenzialità. Infine, chiudiamo con una nota lieta. Nel primo pomeriggio di ieri, nella rada di Mar Grande, a pochi metri dalla riva, è apparso un bellissimo delfino. Nuotava libero e felice. Ci piace immaginare che anche lui, simbolo di questa città, abbia sentito il richiamo di quelle centinaia di giovani che da venerdì proveranno a riscrivere la storia di questa città. Nel segno di Taras e dal suo splendido mare.

Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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