La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver protetto i cittadini di Taranto che vivono nelle aree colpite dalle emissioni tossiche dell’impianto dell’ex Ilva. Secondo i giudici di Strasburgo, c’è stata una violazione del diritto al rispetto della vita privata e alla vita familiare (l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani) e del diritto a un rimedio efficace (l’articolo 13 della stessa Convenzione). Lo riporta l’agenzia Agi.
Comprensibile la soddisfazione di una ambientalista sempre in prima fila su questo ed altri fronti:“Vittoria dei tarantini! La corte europea dei diritti umani ci ha dato ragione – è il primo commento della dott.ssa Daniela Spera (Legamjonici) in merito alla decisione assunta dalla Corte di Strasburgo sui cui sono attesi maggiori dettagli – grazie a tutti i tarantini che nel 2013 hanno creduto in questo ricorso”.
Dalla sentenza si evince che il riconoscimento della violazione costituisce già un risarcimento del danno morale, mentre lo Stato italiano è tenuto a versare a ciascuno dei promotori del ricorso 5mila euro a titolo di rimborso per i costi sostenuti.
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Di seguito una nota che la dott.ssa Spera ha scritto insieme agli avvocati Sandro Maggio e Leonardo La Porta.
“E’ stata appena pubblicata la Sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel Procedimento n. 54414/13 (F. Cordella ed altri contro Italia). L’iniziativa è stata promossa, nel 2013, dalla dott.ssa Daniela Spera per conto di 52 tarantini, avvalendosi della difesa dell’avvocato Sandro Maggio e, in seguito anche dell’avvocato Leonardo La Porta, entrambi del Foro di Taranto.
Successivamente, nel 2015, analogo ricorso è stato presentato da altri 130 tarantini. La Corte ha poi accorpato la trattazione delle due istanze. I ricorrenti hanno accusato lo Stato italiano di non aver adottato tutti gli strumenti giuridici e normativi necessari per garantire la protezione dell’ambiente e della salute dei tarantini ma, al contrario, le leggi emanate e susseguitesi nel tempo, hanno avuto il preciso scopo di tutelare, esclusivamente, gli interessi dell’Ilva, così le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti Umani di cui agli articoli n. 2 (nella parte in cui dispone che “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge.
Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”), n. 8 (nella parte in cui dispone che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio”), e n. 13 (nella parte in cui dispone che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale”).
Una logica già ampiamente condannata dalla popolazione tarantina, soprattutto alla luce dei risultati degli studi scientifici (tra gli altri, lo studio “Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità) e delle perizie chimico-ambientale ed epidemiologica realizzate dagli esperti incaricati dal Giudice per le Indagini Preliminari, dott.ssa Patrizia Todisco, agli inizi dell’inchiesta sull’Ilva, nel corso dell’incidente probatorio nel procedimento penale c.d. “Ambiente Svenduto”.
Alla Corte Europea è stato chiesto di riconoscere, ai tarantini, il loro diritto di vivere in un ambiente salubre. Con la decisione odierna la Prima Sezione della Corte ha riconosciuto la giusta richiesta dei tarantini, dichiarando la violazione degli articoli 8 e 13 da parte dell’Italia”.