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Taranto: il cambiamento, a volte, si aspetta per una vita intera

Le grandi opere hanno tempi lunghi di realizzazione e, una volta portate a termine, durano decenni, spesso ben oltre le nostre vite.

In qualche caso esse (un ponte, una galleria, una autostrada) diventano parte integrante del paesaggio che neanche riusciamo più ad immaginare come era in origine.

Ci abitueremo per esempio all’enorme struttura che coprirà i parchi minerali del siderurgico, così come ci siamo abituati alle ciminiere o ai grandi serbatoi di carburante che osserviamo all’orizzonte.

Una volta costruite, le grandi opere resistono e le percepiamo come parte immutabile del paesaggio e in fondo della nostra società.

Forse anche per questo il cambiamento è difficile, forse perché è legato alla percezione fisica di immutabilità del paesaggio.

L’abitudine è più facile del cambiamento. Abitudine è anche la rassegnazione ai cattivi dati sanitari che da anni ci raccontano una città in sofferenza che spesso, come ieri con Nadia Toffa, ricorda al resto d’Italia il prezzo che i suoi cittadini pagano per un territorio violentato.

Speravamo di leggere entro il 2018 l’aggiornamento del Registro tumori di Taranto che è fermo all’analisi dei dati riferiti al periodo 2006-2012. Sappiamo bene quanto difficile e complesso sia il lavoro degli operatori del Registro tumori che devono analizzare in modo scrupoloso cartelle cliniche di migliaia di pazienti, spesso ricoverati anche in città del Nord e quindi lungi da noi l’idea di lamentarci dei tempi necessari per la pubblicazione del nuovo rapporto.

Il fatto è che vorremmo tutti osservare, prima o poi, una positiva inversione di tendenza rispetto ai dati fino a questo momento noti e cioè la diminuzione dell’incidenza di tumori nella nostra provincia e in particolare in quelle aree più prossime alla grande industria che hanno mostrato, negli anni di analisi, eccessi anomali di patologie.

I prossimi aggiornamenti riguarderanno gli anni dal 2012 in poi, anni cioè in cui la produzione industriale è stata notevolmente ridotta e in cui le centraline ARPA collocate in città hanno registrato diminuzioni dei principali inquinanti nell’aria ( ad eccezione dei clamorosi picchi di diossina registrati dal deposimetro di via Orsini nel novembre 2014 e nel febbraio 2015).

Non ci illudiamo di certo: gli eventuali effetti sull’incidenza di tumori dovuti alla riduzione di emissioni hanno tempi lunghi per esplicitarsi, considerando la latenza di alcune malattie e il danno genetico permanente che l’inquinamento determina e la sua trasmissione intergenerazionale.

Ebbene, considerando i tempi necessari alla completa realizzazione del piano ambientale di ArcelorMittal e i tempi per la compilazione dei rapporti annuali da parte del Registro tumori, dovremo aspettare circa fino al 2030 per leggere i dati del 2023 e ancora di più per quelli riferiti agli anni in cui sarà aumentata la produzione di acciaio, come previsto dagli accordi col governo e dal piano industriale.

Insomma, fermo restando che le cause dei tumori non sono esclusivamente imputabili alle emissioni industriali, tempi lunghi saranno necessari per osservare l’evoluzione dell’incidenza di tumori a Taranto inserita in un contesto di industria che, stando a quanto ci viene assicurato da governo e proprietà, diverrà meno inquinante e più eco compatibile.

E cosa accadrà se nel 2030 i dati sanitari non saranno migliorati? Probabilmente nulla. Gli esperti ci diranno che si dovranno aspettare i dati del 2035 per vedere i primi effetti del minor inquinamento sulla salute della popolazione. E poi il 2040 e poi…

E poi…forse neanche ci saremo più. Passeremo le nostre vite ad aspettare? Chissà, speriamo di no. Speriamo che qualcosa cambi molto prima, perché le nostre vite sono uniche e aspettare ci logora come non vorremmo.

Giuseppe Aralla

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