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Ilva, Taranto e tutte quelle bare che non indignano mai abbastanza

L’argomento è macabro ma è necessario affrontarlo: che effetto farebbe mettere in fila tutti i morti per inquinamento di Taranto degli ultimi anni? Sarebbero tanti, centinaia, forse migliaia.

Immaginiamo un immenso funerale di Stato per queste vite spezzate per la sola colpa di aver vissuto a ridosso dell’area industriale o per aver lavorato nelle fabbriche e respirato aria avvelenata.

Cosa direbbero il Presidente del Consiglio, il Capo dello Stato e tutte le autorità di fronte a tante bare tutte in fila? Forse si impegnerebbero a fare qualcosa per evitare altre morti?

È triste dirlo e non avremmo voluto arrivare a tanto, ma bisogna prenderne atto: in Italia vi sono morti di serie A e morti di serie B. I morti di Taranto valgono poco evidentemente, visto che non indignano l’opinione pubblica nazionale e non smuovono la politica.

Eppure sono persone reali, non tanto diverse da quelle uccise dalla mafia o da quelle morte per il crollo del ponte Morandi. Sono persone che avrebbero voluto vivere serene, realizzare i loro sogni, vedere crescere i propri nipotini.

Le morti per inquinamento fanno meno scalpore perché l’assassino è vigliacco e inconsistente, non facilmente identificabile. Sono morti che si confonderebbero con quelle che comunque avverrebbero se non fosse per il significato speciale che ad esse l’analisi statistica riesce a dare.

Sono numeri i morti per inquinamento di Taranto, per questo non fanno scalpore. Difficile infatti associare a questi numeri dei volti, delle storie. Quando qualcuno muore per una fatalità o per un incidente di cui non è responsabile, in genere, se ne racconta la storia, se ne mostrano le foto, si interrogano i parenti e gli amici.

A Taranto non sapremo mai se Mario, Gianna, Gabriella o Laura sono morti perché così era scritto nel loro destino o se il loro destino è stato condizionato da un’industria maledetta. E allora nessun morto di Taranto ha come epitaffio sulla tomba: Mario Rossi, deceduto per inquinamento.

E neanche esiste nella nostra città un monumento ai caduti per inquinamento, così come invece esistono monumenti ai caduti per mafia o per un atto terroristico. Se invece si potesse associare un volto, una storia ad ogni persona che non c’è più per colpa dell’industria, allora forse qualcuno si indignerebbe e perfino verrebbe a compassione.

Forse perfino la politica rifletterebbe su quale è l’interesse collettivo nel validare un contratto di cessione di un’industria al privato e magari studierebbe davvero un piano di riconversione economica del nostro territorio. Ma così non è.

I nostri morti valgono poco, un po’ come quelli che nessuno vede, quelli affondati nel Mediterraneo. Morti che sono spariti in fondo al mare, spesso racchiusi nelle stive di un barcone, morti che qualcuno perfino nega ci siano davvero, proprio perché senza storia, senza nome. Morti di serie B i nostri, morti senza risarcimenti, senza storie tristi da raccontare, morti che non indignano. Per ora i morti, ma perfino i vivi da noi sembra comincino a contare poco per la politica.

Giuseppe Aralla

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