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Per Ilva e Taranto è il momento delle decisioni: chi ha paura del cambiamento?

TARANTO – Il futuro di Ilva? Non si sa. Riconversione economica? Tante idee ma tutto fermo. Bonifiche? Si ma con calma. Turismo? Una grande opportunità ma non ci crediamo troppo. Aeroporto? Potrebbe essere. Trasporto ferroviario? Fermo a 50 anni fa. Università? Il minimo sindacale. Potremmo continuare a fare altri cento esempi, ma il concetto non cambia: Taranto è una città congelata o meglio, visto il clima, cristallizzata nella sua consolidata incertezza.

Una città industriale, ma di una industria progettata male; marinara, ma che di mare non vive; ricca di storia, ma incapace di valorizzare i propri tesori; strategica militarmente, ma per questo compressa nei suoi spazi. Taranto appare come una città smarrita, incapace di comprendere la sua vera identità e di costruire il proprio futuro.

Cosa è Taranto? È terra bruciata intorno all’industria e alle strutture della Marina. Laddove in Puglia si sta sviluppando in modo esponenziale l’agricoltura biologica, la valorizzazione dei centri storici, le tradizioni locali, l’enogastronomia, tanto da portare la nostra Regione ai primi posti per numero di presenze turistiche annue, a Taranto non si riesce ad intercettare questa grande opportunità.

Gli appelli del sindaco ai vari soggetti decisori su Ilva, affinché si confermi la scelta industrialista per Taranto, sono proprio la palese dimostrazione di come le istituzioni non riescano a concepire politiche diverse da quelle che hanno caratterizzato gli ultimi decenni.

Un Comune in cui non si più coltivare il biologico, un Mar Piccolo i cui prodotti devono essere sequestrati e distrutti, un territorio vastamente inquinato nel suolo e nella falda: cosa altro ci vuole per rendersi conto che l’industria sta facendo il vuoto attorno? Un vuoto non solo fisico purtroppo, ma anche culturale.

La città perde i suoi abitanti, si spopola soprattutto di giovani, di laureati, di chi non torna dopo aver frequentato altre realtà e aver goduto di opportunità qui inesistenti. Taranto non vive di Ilva, piuttosto sopravvive, qualche volta muore. Quali sono i dubbi di Di Maio & C.? Quando si valutano le conseguenze di una eventuale chiusura dell’acciaieria si fa riferimento a Taranto o al sistema Italia?

La città è stanca, forse non è più neanche capace di lottare, questa è l’impressione che si ha parlando con tanti che da anni sperano nel cambiamento. Siamo ad un punto decisivo: le scelte dei prossimi giorni potranno davvero segnare il futuro forse dei prossimi decenni.

Il passaggio di Ilva a Mittal, con il piano ambientale già approvato dal precedente governo, potrebbe dirci che nulla o poco cambierà prossimamente, considerando le garanzie a produrre che l’acquirente otterrà. Se saltasse l’accordo di acquisto, invece, lo Stato potrebbe gestire un cronoprogramma di riconversione che potrebbe portare alla completa o parziale chiusura delle fonti inquinanti.

Certamente una scelta del genere costerebbe parecchi miliardi allo Stato, soldi che forse sono già virtualmente destinati ad altri capitoli di spesa. Sarebbe il momento di incoraggiare scelte decisive e di cambiamento, ma l’atteggiamento del sindaco non aiuta di certo a remare in questa direzione.

È il momento in cui chi può deve farsi sentire presso il nuovo governo: parlamentari locali, opinion leaders, attivisti, ambientalisti e tutti coloro i quali pensano che Taranto sia in grave sofferenza. Bisogna incidere sulle future scelte dei decisori, indipendentemente dagli orientamenti politici di ognuno di noi. “Alea iacta est”: questo vorremmo sentir dire da chi può incidere sul futuro della nostra città. È il momento del coraggio. Al bando qualunque titubanza e paura del cambiamento.

Giuseppe Aralla

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