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Ilva, l’emergenza sanitaria entrerà nel tavolo col governo?

TARANTO – Si, certo, ci siamo andati alla presentazione dei dati di incidenza, prevalenza, guarigione e mortalità del Registro tumori di Taranto e li abbiamo immediatamente pubblicati (leggi qui), ma è stata una fatica che avremmo potuto benissimo evitare.

Era, infatti, scontatissimo che gli ultimi aggiornamenti (relativi al 2012) di pochissimo sarebbero variati rispetto ai precedenti. Lo sanno bene gli esperti: il picco di alcune patologie tumorali arriverà nei prossimi anni e noi potremo solo continuare a commentare un film già vecchio.

A fine 2012 l’Ilva aveva solo da poco, per intervento della Procura, ridotto la produzione di acciaio e i valori di alcuni inquinanti nell’aria si riducevano, secondo le centraline Arpa, rientrando nei limiti di legge consentiti. Purtroppo, però, i tumori hanno spesso tempi di latenza di diversi anni, addirittura decenni, e il loro manifestarsi in eccesso nella popolazione tarantina sarà un fatto inevitabile.

Tumori in eccesso nei quartieri più prossimi all’area industriale, ma non solo questo: patologie cardiache e respiratorie ugualmente al di sopra di quel che sarebbe normale aspettarsi nella popolazione di Tamburi, Paolo VI, Borgo e Comune di Statte. Più infarti, più pneumopatie, più allergie, più endometriosi, più infertilità, più ritardo di apprendimento nei bambini, più…, chissà quanto altro ancora ci tocca subire senza neanche saperlo.

Studi, indagini, valutazioni portano tutti alla stessa conclusione: a Taranto siamo in emergenza sanitaria e se ciò non bastasse, ad aggravare la situazione contribuisce anche l’inadeguatezza dell’offerta assistenziale che nella nostra città risulta insufficiente.

Se ne è reso ben conto anche il governatore Emiliano che ha mantenuto per sé la delega alla Sanità e che sembrerebbe essere riuscito a strappare al governo l’impegno di far finalmente arrivare a Taranto quei 70 milioni di euro tante volte annunciati e già destinati all’acquisto, da parte della Asl, di macchinari e apparecchiature essenziali per la diagnosi e il trattamento soprattutto di alcune patologie tumorali.

Una grossa cifra quindi che si aggiungerebbe ad un impegno di spesa ancora più grande destinato alla realizzazione del nuovo ospedale San Cataldo che dovrebbe nascere e funzionare entro tre o quattro anni, ma di questo non vi è garanzia. Una cosa è certa: su Taranto finalmente si accendono i riflettori e si cerca di colmare quel gap che ci vede in sofferenza rispetto agli standard sanitari regionali.

Insomma, si comincia a fare qualcosa per migliorare l’offerta sanitaria tarantina e considerando il periodo di vacche magre delle finanze pubbliche non possiamo che esserne lieti. Ben venga, quindi, nella nostra città il distaccamento dell’Oncologia pediatrica di Bari che, seppur limitatamente ad alcune fasi del trattamento, ridurrà il disagio di qualche piccolo paziente e dei genitori che altrimenti avrebbero dovuto trasferirsi per tempi lunghi nel capoluogo di regione.

Stessa cosa dicasi per la pneumologia che sta nascendo al Moscati con otto posti letto ricavati dal reparto di geriatria: un reparto che certamente non potrà gestire tutti i quadri clinici acuti e cronici, ma che sarà comunque gestito al meglio nei limiti del possibile.

Intanto, tra due giorni inizierà, il confronto tra Emiliano e Melucci da una parte e Calenda e sindacati dall’altra e la pubblicazione dei dati del Registro Tumori quasi in concomitanza con questo appuntamento non sembra casuale e dimostra quanto abile sia il governatore nel giocare le carte giuste nella partita per Taranto.

La permanenza di un eccesso di patologie tumorali nel distretto cittadino e in particolare nei quartieri più esposti ai fumi di Ilva, unita a tutta una serie di altri dati piuttosto preoccupanti sullo stato di salute della popolazione, non può essere ignorata al tavolo delle trattative.

La valutazione del danno sanitario, praticamente ignorata nel Dpcm, dovrà a questo punto entrare per forza nel piano industriale ed ambientale. Una questione non secondaria che potrebbe incidere non poco sugli obiettivi di produzione e quindi sui ricavi di una industria che a questo punto diventerebbe sempre meno un business per Arcelor Mittal.

Giuseppe Aralla

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