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Ilva: siamo finiti in un videogioco in cui tutto è programmato

TARANTO – Avete presente i videogiochi in cui c’è da conquistare un fortino? Puoi essere bravo quanto vuoi, utilizzare tutte le vite e le armi a disposizione, ma alla fine il fortino non verrà mai distrutto e tu potrai solo migliorare il tuo record di punteggio personale. Questo è l’Ilva di Taranto: un fortino che possiamo attaccare in tutti i modi possibili, ma che resisterà perché il suo destino è programmato, come un software di un videogioco che deve durare per tanto tempo e ricominciare mille volte.

Magistratura, comuni cittadini, operai, sindacalisti, politici, malati, medici, esperti, siamo tutti personaggi di un videogioco che non prevede soluzioni diverse da quelle programmate. In qualche caso i più bravi hanno battuto il record di punteggio, avvicinandosi il più possibile alla resa del fortino, come per esempio la Procura di Taranto nel 2012 con la dott.ssa Todisco, oppure negli anni successivi i cittadini indignati con le manifestazioni di massa.

Ma come prevede il software, il gioco ad un certo punto finiva e ricominciava con il fortino ancora lì nuovamente ben saldo. Negli anni, più volte, abbiamo creduto di essere davvero vicini alla svolta per Taranto: ci sembrava che il cambiamento dovesse prima o poi arrivare per forza, considerando la situazione di degrado ambientale e di elevato rischio sanitario che la presenza industriale determinava.

Sequestro degli impianti, commissariamento, bilanci fallimentari, riduzione delle commesse, mega processi penali ed amministrativi, dati su morbilità e mortalità: ognuna di queste situazioni sembrava dovesse portare alla caduta del fortino e noi ci credevamo davvero, ci impegnavamo ogni volta nella lotta pensando che dipendesse dalla nostra abilità il raggiungimento dell’obiettivo.

Qualche dubbio sul fatto che il gioco non sarebbe mai potuto finire con la conquista del fortino, in verità, è cominciato a venirci già nel 2012 con i primi interventi del governo che smorzavano gli effetti delle iniziative della Procura e poi con i numerosi decreti salva Ilva. Qualcuno, a quel punto, ha cominciato a scoraggiarsi, ad abbandonare il gioco o magari ad osservare dal monitor gli altri giocare. A che serve impegnarsi se poi il gioco non prevede un livello successivo e se siamo tutti imprigionati in uno schema senza varianti?

Purtroppo, però, quello che viviamo non è un gioco, anche se così può essere raccontato. Ognuno di noi – cittadini, malati, operai –  subisce gli effetti di decisioni prese da altri, persone e istituzioni che detengono un potere che sta lentamente scalfendo diritti democratici e sulle quali non riusciamo ad influire. Potremmo forse vivere meglio cambiando il modello dell’economia tarantina o forse peggio, chi lo sa, ma non ci è dato di decidere perché lo schema in cui siamo inseriti non lo prevede. Taranto deve produrre acciaio, lo vuole il governo, lo vuole Confindustria, è necessario per la filiera, serve al PIL nazionale. Noi possiamo solo continuare a impegnarci nella lotta o uscire dal gioco e neanche possiamo sperare che si scassi il software perché sarebbe forse il caos e basta.

Giuseppe Aralla

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