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Dalle campagne alle città: stiamo diventando tutti caporali

Tradizionalmente i caporali, oltre che nell’esercito, soprattutto al Sud, li troviamo nei campi nel periodo della raccolta dei pomodori o delle melanzane o in generale quando c’è da svolgere attività agricole e serve manodopera a basso costo. Come nelle novelle di Verga, questi personaggi ancor oggi distribuiscono lavoro a chi non crea problemi, a chi cioè accetta di “fare la giornata” senza troppi grilli per la testa, accontentandosi di quanto pattuito per legge al netto delle clausole non scritte ma ben chiare.

Ad abbassare ancor più il livello dei diritti dei lavoratori dei campi ci ha pensato, da diversi anni a questa parte, l’arrivo massiccio di immigrati disposti ad accettare spesso condizioni di sfruttamento da servi della gleba. Recenti casi di decessi di braccianti e relative inchieste nel leccese e nel foggiano hanno acceso per qualche giorno i riflettori sul tema, ma si è ben lungi dal risolvere definitivamente il problema dello sfruttamento nei campi.

Ma i caporali sono tra di noi, nelle nostre città, spesso neanche ce ne accorgiamo. Addirittura alcune volte siamo noi stessi caporali, noi che siamo vissuti a pane e giustizia. Il caporale ha il volto del capo cantiere che utilizza l’immigrato “a nero” per svolgere mansioni faticose, oppure dell’idraulico che ha trovato un aiutante a basso costo, o il ristoratore che finalmente ha a disposizione un lavapiatti che non si lamenta. Subagenti del lavoro a basso costo, una nuova categoria emergente nella società.

Capita allora di vedere addirittura l’ambulante che, invece di impegnarsi di persona a proporre la sua merce ai clienti, resta seduto comodo a controllare che il suo aiutante sia tanto bravo da sostituirlo. Persino il pusher di quartiere disdegna ormai lo spaccio: molto più comodo affidarlo all’aiutante a basso costo con conseguente riduzione di rischio personale. Ma gli esempi di nuovi caporali sono davvero tanti: il portiere che ha trovato chi l’aiuta a svuotare i bidoni della spazzatura condominiale, il giardiniere che si sente ormai datore di lavoro da quando ha assunto (in nero) due o tre aiutanti, il piastrellista che finalmente può riposare la sua stanca schiena, il lava auto che può curarsi i reumatismi, l’accattone che comincia a pensare in grande.

Ma il caporale può assumere addirittura il volto del tuo vicino di casa che ingaggia due o tre immigrati per dipingere la sua casa o per ripulire il garage, o addirittura può essere la nonnina con la pensione al minimo che ha trovato chi, per pochi centesimi, le trasporta le buste della spesa a casa. Sparisce, ormai, la figura del garzone (generalmente un ragazzo con poca voglia di studiare e tanto bisogno di aiutare la famiglia) che aiuta il negoziante nelle consegne ai clienti: molto più economico tenere fuori dalla porta un ragazzone che si accontenta di pochi euro al giorno e che sorride sempre.

Tutti caporali stiamo diventando, direttamente o indirettamente, beneficiando dei vantaggi che lo sfruttamento degli immigrati porta. Dovremmo forse ricordarci anche di questo quando protestiamo per la perdita di identità nazionale e blocchiamo tanta povera gente nei campi in Libia. E lo Stato che fa, controlla? Non troppo. L’illegalità, il lavoro in nero, lo sfruttamento sono mali minori, meglio concentrarsi sul Rosatellum e sulla governabilità.

Giuseppe Aralla

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Giuseppe Aralla

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