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Taranto, nel rione Tamburi anche i colori hanno alzato bandiera bianca (anzi rosa)

TARANTO – Una madonnina con dei fiori un pochino appassiti, un giardinetto non troppo curato, un balcone con delle piante secche: l’espressione del bello esiste ma è appena abbozzata da queste parti, come uno schizzo di una scenografia per un film disegnata di corsa con un tratto di matita che non si sofferma sui particolari.

I contorni delle cose non sono marcati e tutto sfuma nel colore di fondo della polvere ferrosa: terra che sembra cemento, ferro che sembra legno, acqua di una pozzanghera che sembra fango. Qui, dappertutto domina il rosa come nelle fotografie patinate o come nelle favole romantiche: rosa sono le persiane verdi, rosa sono le rose bianche, rosa è il cielo azzurro. Sembra di vivere all’ingresso di una cava nella parte del quartiere Tamburi più prossima al parco minerali dell’Ilva.

La città confina con l’industria: i due mondi si sfiorano separati da una striscia larga poche centinaia di metri. Le collinette che dovrebbero proteggere le case dalla polvere dei minerali sono lì, a pochi metri dai balconi: sembrano trincee senza soldati, terra di nessuno senza stendardi. Poco più in là vi sono i terreni recintati, le zone interdette ai cittadini perché insalubri e in cui suolo e falda sono oggetto di bonifica.

Suolo inquinato soprattutto da metalli pesanti e non troppo diverso da quello dei giardinetti del quartiere o dei campetti di calcio su cui un’ordinanza del sindaco aveva interdetto il gioco, ma dove invece i bambini non hanno mai smesso di correre, come è normale che sia. Forse bisognerebbe bonificare anche i terreni del quartiere non inseriti nell’area SIN, ma probabilmente sarebbe troppo complicato e addirittura pericoloso farlo in un’area altamente popolata.

Bisognerebbe portare gli scolari qui per far capire cos’è l’inquinamento e dovrebbe passeggiare per queste strade chi decide di rinviare di qualche anno la copertura dei parchi minerali. La ragion di Stato passa per queste strade ma non si ferma a discutere con chi vive nei palazzi ricoperti di polvere minerale, con chi affida la propria salute alla ruota della fortuna, sperando che vada sempre bene.

Gli organizzatori della Spartan Race dovrebbero chiedere il permesso di farle svolgere ai Tamburi le gare degli atleti: corse nel terreno contaminato, cadute nella polvere di minerale e, se ci fosse vento, pure Pm 10 nei polmoni. Sarebbe una provocazione e certamente la richiesta verrebbe rigettata, ma servirebbe a richiamare l’attenzione sullo stato di un quartiere troppo vicino alla grande industria.

La gente che abita nelle case più prossime ai parchi minerali comunque vive e cerca di farlo nel modo più normale possibile: passeggia, gioca, va al mercato, d’estate prende il fresco sui balconi. È gente che ha imparato a convivere col rischio, è gente che il mostro lo conosce e ci parla, a volte gli è perfino amica se gli dà uno stipendio per sopravvivere.

L’inquinamento abbruttisce le cose, sporca le città e spesso fa male alle persone, ma non riesce a distruggere i sogni dei bambini che vivono e giocano nelle nostre strade. Vogliamo il quartiere Tamburi libero dalla polvere,  i giardini curati, i murales coi colori splendenti, le rose gialle, i polmoni puliti, il necessario per vivere senza ricatti. Chi deve decidere del futuro di Taranto non può far finta di nulla, deve per forza conoscere la realtà di un quartiere esposto più di ogni altro all’inquinamento e trovare le stesse soluzioni adottate in altre città.

Giuseppe Aralla

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