TARANTO – Il collegio della Corte d’Assise ha respinto, questa mattina, l’istanza di patteggiamento presentata da Ilva in amministrazione straordinaria e Riva Forni Elettrici nell’ambito del processo “Ambiente Svenduto”. Secondo la Corte – come spiega il Sole 24 Ore (leggi qui) – i reati contestati alle due società sono gravi, trattandosi di disastro ambientale e di avvelenamento, e quindi non possono rientrare nel patteggiamento.
Ilva in amministrazione straordinaria dovrà decidere, a questo punto, se ricorrere alla Corte di Cassazione oppure no. Col patteggiamento, l’Ilva in amministrazione straordinaria avrebbe dovuto versare 241 milioni a titolo di confisca, quale profitto del reato, 2 milioni di sanzione, ed assoggettarsi a otto mesi di commissariamento giudiziale affidato ai commissari attuali.
La notizia del mancato patteggiamento ha già fatto il giro dei Social Network, a partire da Facebook, dove molti ambientalisti esultano al grido di “Giustizia per Taranto”. Da segnalare, inoltre, che il procedimento è stato riunito al processo-madre (in precedenza era stato stralciato), fissato per il 12 luglio, che vede imputate 44 persone fisiche e la società Partecipazioni industriali (ex Riva fire).
In merito alla decisione assunta dalla Corte d’Assise di Taranto, fonti vicine all’azienda affermano che essa “non interferisce con la procedura di trasferimento degli asset aziendali”. Parimenti, “non interferisce con la disponibilità delle somme recuperate ai fini dell’ambientalizzazione”.
La Corte d’Assise ha dichiarato inammissibile il patteggiamento in quanto nel processo a carico delle persone fisiche “sono contestati reati – aggiungono le stesse fonti – puniti con pene elevate, non definibili con rito alternativo. In realtà, la disciplina prevede questo sbarramento solo per le ipotesi rientranti nel catalogo dei reati 231; l’avvelenamento non rientra in questo catalogo, per cui il provvedimento potrebbe essere viziato da abnormità; si sta valutando il ricorso per Cassazione”.
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