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Ilva, Genitori Tarantini: nuovo manifesto contro i complici del genocidio

Una bella donna con lo sguardo triste e perso nel vuoto che abbraccia il figlio dagli occhi spaventati che respira attraverso una maschera con il filtro per l’aria. Questa è l’immagine scelta dai Genitori tarantini per il manifesto che da oggi è visibile in Città vecchia, sulla Salita Sant’Eligio, proprio di fronte all’omonimo molo.

“E’ la metafora della stupenda provincia di Taranto, così bella da confondere, che ancora abbraccia tutti i suoi figli in un ulteriore tentativo di proteggerli”, viene spiegato in una nota. A lato della foto, una frase che lascia pochi dubbi, che richiama la memoria come primario mezzo per raggiungere quella consapevolezza che trasforma un popolo in una comunità.

“Noi non dimentichiamo” è il grido di guerra di chi ha visto ferire la propria madre, porta su di sé le stesse ferite e le vede nei propri figli. E’ l’invito ad usare l’arma più potente che il popolo ha a disposizione: il voto.

“Siamo con chi opera per il recupero della dignità e del rispetto del territorio tarantino; siamo con chi si adopera in ogni settore per la rinascita culturale e socio-economica della città; siamo con chi mette a disposizioni idee vincenti per riportare l’intera provincia alla sua naturale vocazione: il turismo. Ma siamo anche con chi non dimentica i problemi e li combatte con ogni mezzo.”

Tuttavia, c’è chi condanna le iniziative dei Genitori tarantini bollandole come “pubblicità negativa per Taranto”.

“E’ davvero incomprensibile, questa accusa – dicono i promotori – su internet si trova tutto il bello e tutto il brutto che riguarda ogni posto del mondo. Solo qui a Taranto si vuole nascondere una verità che tutti conoscono sotto il proverbiale tappeto. Ci sono operatori economici che plaudono alle nostre iniziative; per altri, i Genitori tarantini sembrano essere i colpevoli dello scarso flusso turistico che attraversa la nostra provincia. Nella terra figlia di Sparta, ci sono Spartiati e Iloti,  c’è chi combatte e chi fa lo schiavo. E’ ancora così, purtroppo.”

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