Comunicati

Diga del Pertusillo, Genitori Tarantini incontrano il tenente Di Bello

“Le acque della diga del Pertusillo sono altamente inquinate, secondo quanto affermano le analisi effettuate da un laboratorio privato che smentiscono i rassicuranti risultati presentati dall’Arpa Basilicata”.

I Genitori tarantini, alla luce di quanto affermato, vogliono vederci chiaro; per questa ragione, hanno invitato a Taranto il tenente Giuseppe Di Bello (associazione “Liberiamo la Basilicata”) per presentare gli allarmanti risultati sull’inquinamento dell’acqua che arriva in Puglia.

L’appuntamento è per il giorno 27 marzo 2017, alle ore 17, presso la sala conferenze della Confcommercio di Taranto in viale Magna Grecia, 119.

Note sul relatore:
“Giuseppe Di Bello, tenente della polizia provinciale di Potenza, nel gennaio 2010, nota – è scritto in un comunicato stampa – che il colore delle sabbie dell’invaso del Pertusillo ha subito un’inquietante variazione: da bianca e’ diventata marrone. Decide di procedere analisi chimiche. presso un laboratorio dotato di tecnologia validata, e i risultati delle analisi confermano in pieno i sospetti: nell’acqua esaminata c’è una enorme concentrazione di metalli pesanti, di bario, provenienti dagli idrocarburi e dai processi della loro lavorazione tutti derivati da idrocarburi”.

“Per la tutela della salute pubblica (l’invaso del Pertusillo serve Basilicata e Puglia), il tenente Di Bello sporge denuncia alla magistratura, ma la giustizia ha un corso strano, si prende due denunce, una per procurato allarme, e l’altra per violazione di segreto d’ufficio, a quest’ultima seguirà la sospensione dal servizio per due mesi. Nel mentre, all’improvviso, le acque del Pertusillo diventano rosse, e all’interno dell’invaso si verifica una massiva moria di pesci”.
Le denunce non fermano il tenente Di Bello, come racconta al Fatto quotidiano
“Costituisco un’associazione insieme a una geologa, una biologa e a un ingegnere ambientale e procedo nelle verifiche volontarie. Vado col canotto sotto al costone che ospita il pozzo naturale dove l’Eni inietta le acque di scarto delle estrazioni petrolifere. In linea d’aria sono cento metri di dislivello. Facciamo le analisi dei sedimenti, la radiografia di quel che giunge sul letto dell’invaso. Troviamo l’impossibile! Idrocarburi pari a 559 milligrammi per chilo, alluminio pari a 14500 milligrammi per chilo. E poi manganese, piombo, nichel, cadmio. E’ evidente che il pozzo dove l’Eni inietta i rifiuti non è impermeabile. Anzi, a volerla dire tutta è un colabrodo!
La striscia di contaminazione giunge fino a Pisticci. La risposta delle istituzioni è la sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. La Cassazione annulla la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo). Il procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura lucana ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina. Nessuno che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha taciuto: e in quest’anni dove eravate? Cosa facevate? ”.

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