Emergenza salute a Taranto: ciò che gli studi non dicono

TARANTO – Sono ormai anni, a partire almeno dal 2012, che siamo abituati a interpretare i dati dei vari studi epidemiologici su incidenza e mortalità della popolazione tarantina proposti da Asl, istituti di ricerca ed enti vari. Questi studi evidenziano, generalmente, solo i dati registrabili e censibili, quelli cioè tracciabili attraverso ricoveri ospedalieri dentro o fuori provincia e purtroppo, in qualche caso, attraverso le schede Istat di decesso.

Non conosciamo (almeno ufficialmente) quante persone, bambini in particolare, soffrono di asma, quanti sono i casi di tiroidismo ancora in fase iniziale, quanti soggetti sono allergici e costretti a vaccinarsi. Ma non sappiamo neanche con precisione quante persone soffrono di sterilità, quanti bambini soffrono di disturbo di apprendimento, quanto tempo sottraiamo alla nostra vita per tutta una serie di disturbi della salute, magari non sempre gravi, collegati alle emissioni inquinanti.

Sappiamo per esempio il numero di ricoveri per nefropatie e il numero di dializzati (alto a quanto ci risulta), ma non sappiamo quanto i metalli pesanti, presenti in quantità spesso oltre i limiti nelle urine e nei capelli dei cittadini di alcuni quartieri (leggi qui), contribuiscano a far sorgere nefropatie. Problemi spesso silenti perché in forma lieve o iniziale, ma che comunque minano lentamente lo stato di salute e costringono tanti cittadini a sottoporsi a visite ed indagini diagnostiche spesso costose e incidenti sulla qualità della vita.

L’impatto della grande industria viene analizzato, generalmente, solo attraverso un’analisi macroscopica dei dati disponibili. Eccessi di tumore, di mortalità, di patologie conclamate e gravi dell’apparato respiratorio, cardiocircolatorio e renale, sono solo la punta dell’iceberg, quello cioè che entra nelle statistiche ed è censibile. Quanti sono invece i casi di rinite allergica, asma, lieve insufficienza renale, ipertensione, intolleranza, emicrania, che colpiscono la popolazione e la cui causa potrebbe essere legata alle emissioni inquinanti? Quanto ciò rende più complicata la vita dei cittadini? Quante giornate lavorative si perdono a Taranto per queste ragioni?

E ancora, non sappiamo con certezza quanto l’inquinamento incida sull’apprendimento dei nostri ragazzi. Siamo in attesa di conoscere i risultati dello studio promosso e sovvenzionato nell’ambito del Progetto Jonico Salentino sull’impatto degli inquinanti nello sviluppo materno-infantile con valutazione anche dell’aspetto cognitivo. Ricordiamo che un recente studio svedese ha purtroppo evidenziato come aumenti (anche nei limiti) di emissioni inquinanti (NO2 e polveri sottili) incidano sul consumo di farmaci sedativi e antipsicotici (leggi qui), ma non solo questa incide sulla qualità della vita. Vi è senz’altro l’aspetto legato al degrado territoriale e paesaggistico che condiziona le nostre vite.

È un problema che va oltre il caso Taranto e che riguarda tutta Italia, ma con maggiore peso il Mezzogiorno. Basta leggere il Rapporto 2015 BES (Benessere Equo e Sostenibile) e in particolare il capitolo riguardante Paesaggio e Patrimonio culturale per rendersi conto di come, anno dopo anno, stia peggiorando lo stato del nostro territorio.  Soprattutto nel Mezzogiorno sempre maggiori porzioni di territorio rurale vengono cementificati, spesso in modo disordinato, senza che vi sia neanche un piano di urbanizzazione o di industrializzazione preciso.

La cosa più grave è che proprio nei territori più colpiti da tale fenomeno vi è la minore percezione del danno. In Trentino, per esempio, la regione che più di tutte è attenta alla difesa ambientale, vi è una preoccupazione per l’opera di antropizzazione e distruzione del territorio maggiore che in Puglia o Calabria, dove fenomeni di abusivismo e speculazione edilizia sono tutt’altro che terminati. Il vero rischio è l’abitudine al degrado ambientale. L’abitudine a qualcosa, anche assolutamente negativa, è probabilmente un mezzo di difesa mentale che ci aiuta a meglio tollerare aspetti negativi della nostra condizione personale, sociale e dell’ambiente in cui viviamo.

A Taranto ci siamo, purtroppo, “abituati” a convivere con ciò che ci disturba anche inconsciamente. La presenza invadente di una industria che rovina i tramonti, che colora di grigio le strade e i palazzi, che  sottrae tanta parte di territorio, che rende l’aria qualitativamente pessima (riferendoci al solo odore e non già all’aspetto legato agli inquinanti che essa trasporta), sono tutti aspetti che sfuggono alle statistiche ma che vanno sommati a ciò che crea danno sanitario.

Analisi di rischio e progetti di “ambientalizzazione” dovrebbero fare i conti anche a questi aspetti che sfuggono alle statistiche in quanto difficilmente misurabili. La valutazione di una industria esageratamente grande e invadente non può fermarsi alla conta dei morti (l’aspetto più evidente e drammatico del problema). Il bilancio va fatto aggiungendo tutto ciò che in generale disturba la qualità delle nostre vite. La lista è lunga e difficilmente i conti potranno mai tornare.

Giuseppe Aralla

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