Ilva, muore un altro operaio e giù lacrime di coccodrillo

TARANTO – Ci ritroviamo a vivere un’altra giornata di lutto. Questa volta a rimetterci la vita è stato Giacomo Campo, operaio 25enne di Roccaforzata, travolto da un nastro trasportatore dell’altoforno 4 che stava ripristinando. Giacomo era un dipendente dell’impresa di appalto Steel Service. Sono proprio i lavoratori dell’indotto a rischiare di più, ogni santo giorno, ma la sicurezza, in Ilva, è precaria per tutti. Ovunque.

Lo sanno bene gli operai, i sindacati, i politici che varano leggi “salva Ilva”, quelli che si oppongono, le istituzioni e gli enti che dovrebbero vigilare, i giornalisti che ne scrivono e quelli che omettono. Lo sanno tutti. Eppure, ogni volta, deve scapparci il morto per versare lacrime di coccodrillo, inondare le caselle di posta elettronica delle testate giornalistiche con messaggi di cordoglio che sembrano il frutto dell’ennesimo “copia e incolla”. Gli unici elementi che cambiano sono il nome della vittima e la dinamica dell’incidente.

Litri e litri di inchiostro elettronico versati per gridare allo scandalo, per puntare il dito contro il Governo e i Commissari straordinari, per proclamare uno sciopero che non durerà mai abbastanza perchè la produzione viene prima di tutto e di tutti. L’onestà intellettuale e il rispetto per l’ennesima vita stroncata dovrebbero imporre il silenzio, un groppo alla gola al posto del solito fiume di parole.

Si rinnova, invece, una prassi consolidata che ha stufato chi come noi conosce da tempo  le mille contraddizioni esistenti in questa gigantesca fabbrica. Solo una ventina di giorni fa, avevamo denunciato la carenza di tute ignifughe nell’area a caldo, quella più a rischio per le attività delicate che si svolgono (leggi qui). La segnalazione era arrivata da alcuni lavoratori del reparto CCO1 che lamentavano le difficoltà relative al ricambio degli indumenti. Si tratta di DPI, Dispositivi di Protezione Individuale, indumenti idonei e indispensabili per lo svolgimento di particolari mansioni lavorative.

La notizia ci era stata confermata da un sindacalista della Fiom – Vincenzo Vestita – che a fine agosto aveva scritto al direttore dello stabilimento, all’RSPP (Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione) e al capo area Magazzini, per segnalare le difficoltà a reperire presso i magazzini zonali e in quello centrale alcuni DPI, in particolare tute ignifughe e antiacido. Anche noi ci eravamo rivolti all’azienda per avere chiarimenti su una lacuna così grave senza però ricevere risposta. Pochi in città si sono accodati alla nostra denuncia, come se una carenza così clamorosa facesse parte del gioco. In realtà, in Ilva, mancano anche altri tipi di tute, caschi, pezzi di ricambio per i mezzi. La sicurezza è potenzialmente in pericolo ovunque.

Lo sappiamo grazie alle denunce che ci arrivano quotidianamente dalla pancia della fabbrica, laddove pochi ma coraggiosi operai cercano di fare uscire notizie che altrimenti verrebbero taciute o ridimensionate. Così come accaduto lo scorso 6 settembre (leggi qui), giorno in cui Oronzo Basile, operaio di un’altra ditta dell’appalto (Ferplast), è stato investito nel piazzale antistante la Zincatura 2. L’uomo era stato colpito accidentalmente da un cassone di acciaio trasportato su un carrello elevatore condotto da un operaio Ilva. La notizia ci era arrivata grazie ad una segnalazione partita da un lavoratore e poi era stata confermata da fonti sindacali e aziendali. Per fortuna, in quel caso, l’epilogo dell’infortunio non è stato grave come quello odierno.

E allora diciamolo chiaramente: le parole hanno stancato. Le proteste verbali e gli scioperi a breve termine appartegono ad un cerimoniale ipocrita e stucchevole. La verità è che nessuno, qui, fa abbastanza per garantire la sicurezza dei lavoratori (lo stesso dicasi per la salvaguardia ambientale e sanitaria della popolazione ionica). Non lo fa il Governo, non lo fa l’azienda, non lo fanno le istituzioni locali e gli enti preposti, non lo fanno i sindacati e purtroppo neanche gli operai. A parte alcune eccezioni, in ogni categoria citata, ciò che spadroneggia è l’indifferenza, l’apatia, la noncuranza, se non addirittura la strafottenza.

In sintesi: tutti tirano a campare. Senza una visione a medio e lungo termine, senza la lungimiranza di chi dovrebbe pensare prima alla vita dei dipendenti e alla dignità del lavoro e poi a tutto il resto. Lo sciopero dovrebbe essere proclamato a prescindere dalla morte di questo o di un altro operaio. Ci sarebbe da incrociare le braccia ad oltranza, fino a quando non verranno forniti tutti i materiali necessari per lavorare in sicurezza e serenità, finché non verrà garantita una puntuale manutezione ordinaria e straordinaria degli impianti. Fino ad allora, non sarebbe meglio tacere? Ovviamente la nostra è una provocazione perché restiamo dell’idea che questa fabbrica di morte non sarà mai in grado di garantire la sicurezza per i lavoratori e la tutela ambientale e sanitaria della comunità ionica. Il resto e’ aria fritta.

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