Ilva, Stefàno ammette di non aver letto l’ultimo decreto mentre i sindacati protestano

TARANTO – Tutti i riflettori sono puntati sulla Prefettura. Davanti all’ingresso c’è il presidio dei lavoratori Ilva in sciopero, in difesa di una piattaforma che rivendica una maggiore tutela sul fronte sanitario, ambientale e occupazionale. Al terzo piano c’è il via vai di delegazioni (Asl, Arpa, ambientalisti) convocate dagli eurodeputati della Commissione per l’Ambiente, la Sanità Pubblica e la Sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo. 

Tra i rappresentanti istituzionali c’è anche il sindaco Ezio Stefàno, che davanti ai giornalisti ammette candidamente di non aver ancora letto il testo del decimo decreto sull’Ilva, approvato ieri dalla Camera e in procinto di passare all’esame del Senato. Tra coloro che si sono presi la briga di valutare il testo del provvedimento ci sono alcuni rappresentanti sindacali, per niente soddisfatti del percorso intrapreso dal Governo e supportato dalla maggioranza parlamentare.

«Non ci piace la piega presa da un decreto che non salva l’Ilva e nemmeno i lavoratori e i cittadini, già colpiti da un disagio ambientale – dichiara Vincenzo La Neve (Fim Cisl)inoltre, lamentiamo una carenza di tutela dal punto di vista occupazionale». Non convince la Fim neanche l’ordine del giorno approvato dalla Camera sulla clausola sociale che chiede di “prorogare le misure di solidarietà, a favore dei lavoratori dei complessi aziendali del Gruppo Ilva poste in essere finora, fino al 31 dicembre 2017 e comunque fino a quando la finalizzazione del trasferimento a terzi delle attività aziendali del Gruppo Ilva non garantirà la piena ripresa delle attività produttive e la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali di tutti gli stabilimenti del Gruppo”.

«Noi vogliamo una clausola sociale in grado di tutelare tutti i posti di lavoro e non gli adeguati livelli occupazionali come previsto da questo decreto  – sottolinea La Neve – e poi chiediamo garanzie per gli operai in merito al rischio cancerogeno e una maggiore salvaguardia della salute per tutti i cittadini. Per questo abbiamo chiesto di potenziare le strutture sanitarie, invece lo Stato pensa a chiuderle o a ridurle». In merito ai futuri acquirenti dell’Ilva, La Neve esprime un auspicio: «Non tifiamo per nessuna delle due cordate in campo, l’importante è che prevalga una cordata in grado di mantenere sia i livelli occupazionali che la salvaguardia ambientale».

Sull’imprescindibilità della tutela ambientale e sulla salvaguardia occupazionale si concentra anche Antonio Talò (Uilm): «I cittadini di Taranto non meritano la beffa di rimanere disoccupati dopo essere stati colpiti dal danno sanitario – dice – ai parlamentari europei, anche a chi la pensa diversamente, illustreremo le giuste ragioni della città e dei lavoratori. Stiamo parlando di 15mila persone che aspettano di vedere rispettati i loro diritti. Finora le soluzioni sono solo sulla carta. Ora chiediamo certezze».

In merito al decreto in fase di conversione in legge, Francesco Brigati (Fiom) rileva qualche progresso emerso in seguito agli incontri avuti con le commissioni Ambiente e Attività Produttive della Camera e con i relatori del testo (il riferimento è alla clausola sociale) ma fa notare che nulla è cambiato sia dal punto ambientale che occupazionale.

«Non ci sono sufficienti garanzie – spiega – inoltre riteniamo scandaloso lo scudo giudiziario che viene esteso dagli attuali commissari anche ai futuri acquirenti del siderurgico. Si tratta di condizioni inaccettabili. Per questo proseguiremo con la mobilitazione insistendo sui contenuti della piattaforma rivendicativa». Dubbi permangono anche sulle prospettive offerte dalla due cordate: «ArcelorMittal (con Marcegaglia, ndr) dice di voler portare la produzione a 6 milioni di tonnellate di acciaio in due-tre anni. Ciò significa eliminare i costi fissi e ricorrere agli esuberi. Inoltre, non vuole fare nulla dal punto di vista ambientale. In questo caso, siamo davanti ad una multinazionale che detta le linea al governo. Dall’altra parte c’è Arvedi che come un venditore di pentole dice di voler portare la produzione a 12 milioni di tonnellate. Nessuna delle due cordate ci pare credibile».

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