Ilva, l’allarme della Fiom: “Si allungano i tempi per la vendita e cresce la preoccupazione”

Il 30 giugno scorso, le segreterie di Fim, Fiom e Uilm, hanno annunciato che contestualmente alla data di inizio dei lavori di conversione in legge del decimo decreto sull’Ilva, il 12 luglio, organizzeranno un presidio dei lavoratori in piazza Montecitorio, a Roma. Inoltre, dando seguito ad iniziative e mobilitazioni a sostegno delle proposte contenute in una piattaforma rivendicativa che mette al centro ambiente, salute e lavoro, i sindacati hanno proclamato uno sciopero di 4 ore dei lavoratori Ilva ed appalto per la giornata del 14 luglio, in occasione dell’arrivo a Taranto della Commissione dei parlamentari europei ENVI con presidio sotto la Prefettura. Questa mattina, nella sede di via Dionisio, la Fiom (nazionale e locale) e la Cgil hanno fatto il punto della situazione sui contenuti delle audizioni tenutesi nei giorni scorsi e sulle motivazioni dello sciopero.

«Il decimo decreto sull’Ilva non ci convince – ha dichiarato Rosario Rappa, responsabile Siderurgia della Fiom nazionale – modifica lo schema che stava portando alla vendita dell’Ilva introducendo alcuni elementi che non condividiamo. Posizione che abbiamo illustrato sia al ministro dello Sviluppo Economico Calenda che alla commissione parlamentare in sede di audizione. Il primo elemento non convincente è quello che sposta di almeno un anno la vendita dell’Ilva in quanto prevede i quattro mesi relativi all’insediamento dei tre esperti per la valutazione del piano ambientale, la discussione successiva sul piano industriale. In più ci sarà l’azione dell’Antitrust che potrà durare da tre a sei mesi. Tutto questo ci fa ipotizzare che prima dell’estate del prossimo anno non avremo il soggetto acquirente. Vivremo, quindi, un periodo di interregno in cui l’azienda sarà gestita dagli attuali commissari in presenza di soggetti che dovrebbero acquisire l’azienda ma che ancora non lo fanno».

Il secondo elemento contestato dalla Fiom riguarda l’avvio di una procedura che non prevede una discussione contestuale su piano industriale, livelli occupazionali e questione ambientale. «A Taranto l’ambientalizzazione è la precondizione per il mantenimento di qualunque attività industriale – sottolinea Rappa – non ci può essere uno scambio a scapito di mancati investimenti sull’ambiente. C’era già un’Aia approvata da rispettare e un piano industriale per 8 milioni di tonnellate di produzione annua. Da quei punti si dovrebbe partire. Se invece si dice che l’Aia può essere modificata e che la sua attuazione si proroga di altri 18 mesi, a noi non va bene».

Infine, il terzo elemento che non convince: «Se la cordata ArcelorMittal-Marcegaglia dichiara che la produzione su cui assestare l’Ilva è di 6 milioni di tonnellate e che il mercato di pertinenza sarà quello italiano, ci troviamo davanti alla decisione di ridimensionare drasticamente i livelli occupazionali e anche salariali. Anche su questo aspetto non c’è stata una discussione seria coi lavoratori. Tutte queste ragioni ci portano a mettere in moto iniziative perché si attivi un tavolo permanente al ministero dello Sviluppo Economico che faccia via via il quadro di quello che succede».

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