Punta Rondinella: un tuffo nel blu tra scarichi industriali e cisterne Eni

TARANTO – A contarli saranno una ventina in tutto i pini marittimi che ancora si ergono su Punta Rondinella e l’ultimo di quel gruppo, il più vicino al mare, sembra protendersi in un tuffo nel blu, come per scappare dall’inferno di una zona che invece un tempo deve essere stata un paradiso.

Dalla collinetta artificiale innalzata durante il secondo conflitto mondiale per proteggere delle postazioni belliche, lo spettacolo del tramonto è unico, col sole che sfiora le isole Cheradi per immergersi oltre il faro di San Vito che pure da qui si vede. Nascosta dietro una discesa ci sorprende la spiaggia meno conosciuta di tutta la costa di Taranto. Poche decine di metri di battigia che ospitano qualche famiglia. Due o tre ombrelloni e bimbi che nuotano e giocano in un mare apparentemente pulito, ma di cui non c’è da fidarsi.

Non crediamo che si tratti di una zona balneabile. Le enormi sagome, a pochi metri verso l’interno, delle cisterne di carburante incombono sulla nostra vista e sembrano far parte di un paesaggio alieno, quanto surreale. Perplessità e timori sulla sicurezza di quei bimbi che si bagnano nella spiaggetta di Punta Rondinella ci vengono anche per la presenza dei vicini scarichi di Ilva ed Eni e del porto commerciale e industriale.

Punta Rondinella è ormai un cantiere: scavi sono in atto per la costruzione delle nuove strutture portuali, delle vasche di raccolta fanghi provenienti dai dragaggi e delle nuove e più grandi strade che daranno accesso alla nuova area portuale. Per chi ha conosciuto Punta Rondinella prima degli anni ’60, resta il ricordo di un luogo che non è più lo stesso.

Era il posto ideale, raccontano i vecchi frequentatori, per una gita al mare e per godere dell’ombra della pineta che copriva ampi spazi di litoranea, in una fascia di verde che partiva da Taranto e arrivava a Lido Azzurro, Chiatona, fino a raggiungere le Marine di Castellaneta e Ginosa ed oltre. Quel che resta di non cementificato di quella punta di terra che guarda verso San Pietro e San Paolo è davvero poco.

E’ un posto che mantiene un fascino irresistibile, ma solo se si ha l’accortezza di mantenere lo sguardo verso il mare, voltando le spalle alla zona industriale e alle opere portuali che incombono prepotentemente tutto intorno. Potremmo definirlo l’ultimo avamposto di una zona costiera che non esiste più e possiamo solo lontanamente immaginare quanto bella doveva essere quella fascia di mare per chi la raggiungeva dalla città, attraversando campi di grano, oliveti immensi e vigneti appartenenti alle tante masserie distrutte per far posto alle industrie. Una Taranto scomparsa, di cui resta solo qualche traccia, qualche vago reperto, come se fosse preistoria.

Giuseppe Aralla

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