Dopo aver informato il 25 gennaio scorso la stampa e la direzione Arpa Puglia, nonché il direttore del Dipartimento di Taranto, dott.ssa Maria Spartera e il direttore del Centro Regionale Aria, dott. Roberto Giua del visibile cattivo stato di conservazione degli elettrofiltri (giusto per intenderci stiamo parlando degli imponenti dispositivi per filtrare le polveri contenenti microinquinanti, diossine e furani – vedi foto allegate) a servizio dell’area agglomerazione dell’Ilva di Taranto, abbiamo appreso successivamente, in data 26 febbraio scorso, dei gravissimi esiti dei rilievi di diossine e furani contenuti nelle polveri raccolti dalla rete deposimetrica, installati nel quartiere Tamburi e nello stesso stabilimento, in quantità mai riscontrata in altre realtà industriali in Italia (neanche nella Terra dei Fuochi!).
Inoltre, il dirigente comunicava alla onlus che Arpa “aveva in programma” (ribadisco: “aveva in programma”!!!) “l’effettuazione di una campagna di monitoraggio delle concentrazioni di inquinanti (fra cui particolato e microinquinanti organici) negli ambienti lavorativi del reparto di sinterizzazione di ILVA”. Cosa gravissima se tali controlli non siano stati eseguiti da Arpa e con particolare riferimento all’area cokeria dove sono stati riscontrati (ribadisco, non riscontrati dall’Arpa, ma dall’ing. Maurizio Onofrio del Politecnico di Torino) valori assolutamente alti e non compatibili con la vita degli operai e dei cittadini che vivono soprattutto nei quartieri limitrofi.
(Foto: Fondo Antidiossina Taranto)
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