«Il ministro Guidi non si è fatto vedere e non ha messo la faccia su questo decreto. Il commissario Gnudi non ha saputo dare un piano industriale – ha aggiunto Crippa – siamo arrivati ad una emergenza tale per cui sono necessari 300 milioni per pagare gli stipendi e garantire la continuità dello stabilimento».
Altro aspetto critico denunciato è la proroga per l’attuazione delle prescrizioni Aia per il risanamento ambientale degli impianti di ulteriori sei mesi. Non è stato chiarito, inoltre, se la vendita preveda la cessione di “spezzatini” del gruppo. Poi il capitolo sui presunti aiuti di Stato. «L’Europa sa – ha dichiarato l’europarlamentare Rosa D’Amato – è palese la volontà di Bruxelles di aprire una nuova procedura d’infrazione contro il nostro Paese su quelli che per noi sono sicuramente aiuti di Stato».
«Se volete sapere come stanno veramente le cose all’Ilva di Taranto non andate dai politici né dai sindacati che hanno preso finanziamenti dall’azienda e hanno interessi. Noi al contrario non abbiamo interessi ed esserci messi contro questo sistema non fa che peggiorare le nostre condizioni di vita». Ha esordito così Cataldo Ranieri, operaio Ilva ed esponente dei “Liberi e pensanti”.
«Dal 2012, da quando la magistratura ha sequestrato gli impianti dopo l’indagine epidemiologica, lo Stato è intervenuto con dieci decreti nei quali non c’è la parola “lavoratore”, non c’è la parola “cittadino”. Ci sono garanzie per le banche e immunità per i commissari». Ranieri fa il confronto con Genova e Taranto. «Nel 2000, la stessa indagine epidemiologica ha convinto il governo Amato a dire che l’area a caldo dell’Ilva di Cornigliano era incompatibile con la salute umana. Quella produzione fu spostata a Taranto, con un record di 14milioni di tonnellate nel 2006, e non ci vuole tanto a capire che maggiore è la produzione maggiore è l’inquinamento. Come è possibile? Sulla mia carta d’identità c’è scritto che sono cittadino italiano».
Pollice verso anche per l’ipotesi preridotto – come evidenziato da Massimo Russo dei Liberi e Pensanti – perchè «gli impianti non sono idonei» per questo passaggio: «Gli altiforni in marcia (1, 2 e 4), richiedono un fabbisogno giornaliero di sette/ottomila tonnellate di carbon coke. Per soddisfare tale fabbisogno, il carbon coke è prodotto per due terzi dalle batterie in marcia (settima e ottava, undicesima e dodicesima) mentre il restante è acquistato da fornitori terzi. Il carbon coke permette di sviluppare un potere calorifero di oltre mille gradi e soprattutto permette di mantenere tale temperatura costante».
Alessandra Congedo – Nicola Sammali
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