Con l’accoglimento del ricorso presentato da comitati e associazioni, tra cui alcune Unioni provinciali di Confagricoltura, si apre infatti uno scenario nuovo: toccherà alla Corte costituzionale stabilire se il decreto legge 4/2015 ha violato una riserva di legge prevista dall’articolo 23 della Costituzione, così come ipotizzato dal Tar Lazio nel dispositivo.
Al centro della disputa c’è un vero pasticcio legislativo, giacchè il decreto del Governo, sostituendo un altro provvedimento già bocciato dal Tar, ha preso come elemento base per le esenzioni l’elenco Istat che distingue i Comuni montani, dove sono esenti tutti i terreni, da quelli parzialmente, in cui sono esenti solo quelli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali (Iap), e dai pianeggianti, dove tutti pagano. Una classificazione istituita attraverso un atto amministrativo e non una legge, come invece sentenziato dal Tar, e con effetti paradossali e discriminatori in fase di applicazione.
«Gli agricoltori diligentemente hanno pagato sino all’altroieri – sostengono le tre organizzazioni di categoria – quando, secondo il Governo, l’Imu agricola ha fatto la sua ultima comparsata. Sappiamo, però, che il percorso parlamentare di approvazione della Legge di Stabilità ha già lasciato fuori dalla sua “cancellazione” i giovani imprenditori con terreni in affitto che, quindi, continueranno a pagare. Ora vogliamo vedere, dopo il Tar Lazio, come la Corte Costituzionale valuterà quel contestato decreto legge. Sperando che gli ermellini mettano definitivamente fine a questa ingiusta vessazione – concludono Confagricoltura, Cia e Copagri – si potrebbe cominciare a valutare le ipotesi di aggiustare il tiro in Parlamento e che, soprattutto, il Governo debba restituire le somme già versate a migliaia di agricoltori».
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