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Ilva, Legambiente: “Vuoto di strategie” – Lettera ai Commissari

Ammonta a complessivi 800 milioni di euro  la somma che, secondo la Legge di stabilità proposta dal Governo, potrà essere utilizzata dall’Organo  Commissariale dell’Ilva per accedere a finanziamenti assistiti dalla garanzia dello Stato quali anticipazioni nell’attesa che divengano effettivamente disponibili le risorse sequestrate in Svizzera ai Riva dalla magistratura milanese.

Questa somma, secondo quando indicato nella stessa Legge di stabilità potrà essere utilizzata “al fine esclusivo dell’attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell’impresa in amministrazione straordinaria e, nei limiti delle disponibilità residue, a interventi volti alla tutela della sicurezza e della salute, nonché di ripristino e di bonifica ambientale, nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia”.

Proprio in ragione di questo fine esclusivo, che ne vieta l’utilizzo nella normale attività aziendale, abbiamo scritto all’Organo Commissariale dell’Ilva chiedendo di sapere a quali specifici interventi  tali finanziamenti saranno destinati, per quali singoli importi e con quali tempi di realizzazione previsti, tenuto conto che l’ultimo decreto Ilva stabilisce che gli interventi previsti dall’Autorizzazione Integrata Ambientale vadano completati entro il 4 agosto 2016 e che si tratta, com’è noto, di un termine più volte e già ampiamente prorogato rispetto alla scadenza originaria.

Siamo infatti fortemente preoccupati sullo stato di attuazione degli interventi e scettici sul rispetto di un termine, quello del 4 agosto 2016, che, considerata l’entità degli interventi da effettuare, ci appare sempre più difficile da rispettare visto che dallo stesso ci separano solo 9 mesi.

Di fatto siamo ancora in attesa che il Ministro dell’Ambiente presenti alle Camere la  relazione sull’attuazione dell’AIA e sulle risultanze dei controlli ambientali effettuati, prevista per i primi di settembre in base all’ultimo decreto Ilva. E’ un ritardo che si aggiunge, a fronte delle disponibilità previste dalla Legge di Stabilità, all’assenza di provvedimenti volti al potenziamento degli organici del dipartimento di Taranto di ARPA Puglia  e, quindi  della sua attività di monitoraggio e controllo sugli stabilimenti industriali presenti nel territorio jonico, a partire dal siderurgico. Provvedimenti promessi in sede di approvazione dell’ultimo decreto Ilva e scomparsi dall’agenda politica del governo e dei parlamentari.

E’ un fatto vergognoso e inaccettabilela garanzia che il quadro delle emissioni sia sotto controllo, importante in assoluto eirrinunciabile nella situazione in cui si trova oggi Taranto,  può darla solo un’efficace azione di monitoraggio e controllo che richiede, com’è ovvio, uomini e mezzi. Che a Taranto, invece e notoriamente,  non sono presenti in modo adeguato. Perché non si fa nulla? Perché le promesse non vengono mantenute? Non ci sono scuse plausibili ma solo un comportamento che legittima i sospetti sulla effettiva volontà di controllare pienamente quello che accade sul territorio jonico in termini di impatto ambientale.

Ma qual è la strategia del governo, al di là di roboanti proclami? A vedere gli interventi messi in campo finora e i ritardi cumulati sembra esserci molta confusione e  un prendere tempo che pare ignorare il punto fondamentale che ripetiamo da anni: l’Ilva, o si risana in tempi rapidi e si rende davvero compatibile con la città,  o non può che, presto o tardi, chiudere. Se non si persegue concretamente una strategia industriale ecocompatibile, di fatto si continua a farla sopravvivere in modo artificiale con costi altissimi ma senza gettare nessuna  base per il futuro. Ma davvero si pensa, senza avere un piano industriale, di individuare un partner siderurgico nella newco perennemente annunciata?

Davvero si pensa di poter raggiungere la produzione autorizzata di 8 milioni di tonnellate conservando l’attuale assetto produttivo, per cui, anche ad impianti risanati, come ha indicato ARPA Puglia nella sua Valutazione del Danno sanitario, si lascerebbero 12.000 abitanti del quartiere Tamburi esposti a un rischio inaccettabile per gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità? Se si vuole continuare a produrre acciaio a Taranto bisogna intraprendere altre strade: una passa dal risanamento degli attuali  impianti ma con una produzione drasticamente ridotta. L’altra strada percorribile passa da un profondo ammodernamento tecnologico del processo produttivo e dall’introduzione di nuove tecnologie meno inquinantiche rendano lo stabilimento siderurgico all’avanguardia in termini di impatto ambientale. Ma la sperimentazione sul metano e sul ferro preridotto intrapresa dal precedente commissario Bondi, che avevamo visto con favore perché capace di abbattere anche del 90% le emissioni dei principali più pericolosi inquinanti, è stata accantonata.

Sono nodi ineludibili che non si sciolgono da soli e che  si sovrappongono alla necessità che vengano rispettati i tempi stabiliti  per la piena realizzazione degli interventi previsti dall’A.I.A. Tempi che non si può continuare a dilazionare senza, di fatto,  venir meno a quanto stabilito  dalla Corte Costituzionale in termini di diritto alla salute e al lavoro.

LEGAMBIENTE TARANTO

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