Come canta Ligabue nella canzone dedicata a Francesco Guccini, “ci si sente soli per quello che si è visto e poi per tutti quelli che han fatto così presto a montare su per fare un po’ il tuo viaggio giurando che per te davano un braccio; parlavano di stile, di impegno e di valori ma non appena hai smesso di essere utile per loro eran già lontani, la lingua avvicinata a un altro culo…”.
In questi anni, e soprattutto nell’ultimo, abbiamo visto davvero di tutto, che per ri-raccontarlo non basterebbe un libro da mille pagine. E’ una città strana Taranto. Anzi, diciamo meglio: è una città dove è difficile vivere e sopravvivere per chi ha una base di valori e di ideali di un certo tipo. C’è grande ipocrisia, grande vigliaccheria. C’è una grande presunzione di sapere tutto di tutto. Di essere sempre migliori degli altri. C’è la convinzione che a sbagliare siano sempre gli altri.
Non c’è spazio per il pensiero critico. Per il pensiero libero da ogni legame, connivenza e convenienza. Per il dialogo franco e diretto. E’ così e chi lo nega o parla di unità, di voglia di cambiare, di lottare tutti insieme, afferma soltanto una grande ipocrisia. Non che questo non sia fattivamente possibile e realizzabile: ma per farlo, così come scrivemmo nell’agosto dello scorso anno, occorrerebbe “tagliare i rami secchi” che in questa città oramai abbondano ed aumentano ogni giorno di più.
Prima di queste lunghe ferie, mi preme ringraziare come ogni anno tutti i lettori, dal primo all’ultimo. Tutte le fonti. Tutte le persone corrette che ci hanno sostenuto. Tutti quelli che hanno fatto parte di questa redazione. Un abbraccio speciale alla collega e amica Alessandra Congedo, direttrice del sito inchiostroverde.it, attraverso il quale in questi anni abbiamo fatto un giornalismo vero, pulito, onesto (così come sulle colonne del ‘TarantoOggi’). Cosa pressoché unica in questa realtà.
E tornando ai versi della canzone di Ligabue: “Quaggiù ce n’è in qualche modo di tre tipi: bravi artisti, furbacchioni e topi. Il topo canta solo di quanto lui sia puro e poi da via la madre per stare sul giornale ed è talmente puro che ti lancia merda soltanto per un titolo più largo. E io che il mio disprezzo me lo tengo dentro, che il letamaio è colmo già pubblicamente, ma quei presunti mi puri, mi possono baciare queste chiappe allegramente; rispondere agli insulti è solo bassa promozione. Lo so che non ha senso starsi a lamentare di alcune conseguenze del mestiere. E so che mi son fatto prendere la mano, perché uno sfogo fa sbagliare spesso la misura: e allora vado avanti a scrivere della vita sempre e solamente per come io la vedo, che la morte se la suona e se la canta chi non sa soffrire da solo”.
Del doman non v’è certezza. Ad maiora.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 31 luglio 2015) – Articolo pubblicato nell’ultimo numero prima delle ferie.
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