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Giornata in ricordo delle vittime del lavoro: 12 giugno, un deserto di coscienze

TARANTO – Lo abbiamo scritto e ripetuto tante volte in questi anni: una città senza memoria storica, ha davanti a sé un futuro cupo. Specialmente poi se la memoria riguarda il ricordare e il commemorare chi ha perso la vita sul posto di lavoro: uno scempio sociale che in Italia è ancora lungi dall’essere estirpato. Se poi la maggior parte dei lavoratori che si ricorda ogni anno ha perso la vita durante i 51 anni di vita del siderurgico più grande d’Europa, la presenza e la partecipazione della cittadinanza dovrebbe essere totale.

Ma come ci ha sommessamente detto ieri Cosimo Semeraro, presidente dell’Associazione 12 giugno, questa “è una città di quaquaraquà”. La rabbia e l’indignazione di chi da anni organizza ogni anno la giornata del ricordo per le vittime del lavoro e del dovere, aumenta di anno in anno: “E’ inaccettabile che i parenti, i cittadini, chiunque non senta il bisogno di commemorare le tante vittime di questi anni e dei decenni passati”. Ieri in Piazza Caduti sul lavoro (ex Piazza Masaccio) al rione Tamburi, non c’era praticamente nessuno. Non c’erano i rappresentanti delle istituzioni, non c’erano la politica, non c’erano consiglieri comunali, provinciali e gli ultimi eletti alle regionali.

Non c’erano i sindacati di nessuna categoria; non c’erano gli industriali di Confindustria, gli imprenditori di Camera di Commercio e di Confcommercio; non c’era nessun rappresentante della così detta classe dirigente; non c’erano gli ambientalisti (che però l’anno scorso erano presenti), non c’erano rappresentanti della società civile, né delle decine di associazioni cittadine presenti sul territorio: non c’era la città, non c’era Taranto. Eppure, gli appartenenti a questo lungo elenco, sono sempre in prima fila quando viene organizzato qualcosa che li riguarda da vicino o serve a dar loro un minimo di visibilità pubblica. Sono i primi che protestano, s’indignano, denunciano, promettono battaglie e rivoluzioni, alleanze, unità d’intenti e varie amenità simili che siamo costretti ad ascoltare oramai ogni giorno. Incredibilmente trovano tempo per tutto: per passare intere giornata sui social network sui quali, a seconda del momento, fanno propaganda, oppure danno vita a veri e propri processi sommari o, peggio ancora, si ergono a moralizzatori e a sapientoni del “so tutto io e gli altri hanno sempre torto”.

Disertare la memoria è una vergogna assoluta per un’intera comunità. E’ in questi momenti che si vede il valore delle singole persone. Ma tant’è, da anni oramai siamo abituati ad assistere a questo triste spettacolo. Tra l’altro, lo stesso Semeraro ha previsto che oggi, durante la messa che si terrà a Talsano, ci saranno “tutti, ma proprio tutti: perché saranno presenti le massime autorità e ognuno avrà il suo spazio”.

I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”: lo ha dichiarato ieri Umberto Eco, nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino, dopo aver ricevuto la laurea honoris causa in ‘Comunicazione e Cultura dei media’ perché “ha arricchito la cultura italiana e internazionale nei campi della filosofia, dell’analisi della società contemporanea e della letteratura, ha rinnovato profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica”. Per il nostro Semeraro, Taranto è piena di “quaquaraquà”; per Eco i social network sono pieni di “imbecilli” (e a Taranto i leoni da tastiera proliferano soprattutto nell’elenco di cui sopra). Abbiamo davanti a noi un futuro tutt’altro che roseo. Auguri.

Gianmario Leone

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