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Ilva, quanta ipocrisia e inettitudine

TARANTO – Quanta ipocrisia che c’è in questa città sulla vicenda Ilva. Un’ipocrisia che poi, a guardarla bene negli occhi, ti racconta la storia degli ultimi cinquant’ anni di questo territorio. E la cosa davvero preoccupante, quella che ti fa temere che in realtà nulla cambierà mai per davvero, è che questa ipocrisia tocca indistintamente tutti i settori che compongono la società tarantina. E’ come se dal 26 luglio 2012, si sia deciso volontariamente di resettare la memoria storica di ciò che è stato sino a quel giorno. Con un colpo di spugna o, se preferite, con un colpo di cassino sulla lavagna della storia, tutto è stato condonato e cancellato.

E così accade che, ad esempio, Confindustria Taranto si ricordi di far parte di un territorio e chiami a suo sostegno la città per difendere il “lavoro” di migliaia di persone. In realtà, per difendere la sopravvivenza degli industriali tarantini che della città non si sono mai interessati in tutta la loro storia imprenditoriale. Dopo aver vissuto un trentennio buono all’ombra dell’Ilva di Stato, non hanno avuto problemi nel farsi a tappetino nei confronti dell’imperatore Emilio Riva.

Che ha potuto disporre a proprio piacimento dell’indotto e dell’appalto Ilva (dal quale, per onestà intellettuale e per difendere la memoria storica bisogna dargli atto di essere stato in grado di eliminare i residui della malavita tarantina favorito anche dall’iniziativa della magistratura) senza colpo ferire da parte proprio di Confindustria Taranto. Alla quale, invece di chiedere inutilmente il perché non fosse presente alle manifestazioni a difesa della salute e dell’ambiente, bisognerebbe chiedere come mai non è scesa in piazza con la stessa rabbia e la stessa foga, a sostegno delle tante ditte tarantine che Riva ha eliminato una dopo l’altra dall’indotto Ilva.

Oppure bisognerebbe chiederle come mai non ha trovato il tempo e il modo di organizzare blocchi e manifestazioni ogni qual volta è rimasto ferito o è deceduto un operaio dell’indotto negli ultimi anni. Oppure bisognerebbe chiederle come mai ha concesso ai suoi affiliati di firmare contratti per lavori di cantiere previsti dall’AIA, pur consapevole che l’azienda non avrebbe potuto pagare per tempo il dovuto. Quei contratti li si è firmati nonostante tutto. Strano, vero?

Oppure bisognerebbe chiederle come mai si muove soltanto adesso, quando che l’Ilva sarebbe entrata in amministrazione di insolvenza con il concreto rischio di fallimento dell’attuale società e costituzione di una new.co, lo si sapeva almeno dalla scorsa estate. Ancora, si potrebbe chiederle di quantificare esattamente quanti sono i milioni di euro che vanta nei confronti di Ilva: così, giusto per chiarezza. Visto che 34 milioni di euro tra settembre e dicembre sono arrivati nelle casse di Confindustria Taranto.

Ed è un segreto di Pulcinella che vengono pagate prima le aziende iscritte all’ente degli industriali e poi tutte le altre. Vuoi vedere che quelle più in crisi e con maggiori difficoltà economiche sono proprio quelle non iscritte, ovvero l’ultima ruota del carro? E poi. Come mai tutte queste minacce velate, questa rabbia, questa agitazione quasi infastidita? Come se qualcuno fosse venuto a guardare dove non doveva. O forse c’è più di qualcuno che ha capito che il periodo delle vacche grasse è finito per sempre e vuole a tutti i costi difendere ciò che ritiene sia a lui dovuto? E che quindi temendo di perdere una partita che non può più giocare in prima linea ha deciso che se muore lui devono morire anche tutti gli altri? Il sospetto, conoscendo gli elementi in campo, è praticamente una certezza.

Certo, c’è da dire che Confindustria Taranto è in bella compagnia. Ad esempio di una politica che oramai è sempre più la caricatura di se stessa. Incapace anche solo di prendere una posizione che sia una, non diciamo credibile ma quanto meno decente. Del resto quante volte abbiamo scritto che l’attuale classe politica tarantina è la peggiore degli ultimi trent’anni almeno? E il discorso non vale soltanto per il Comune. Ma anche per Provincia e consiglieri regionali. Il cui ruolo e peso istituzionale francamente non riusciamo a comprendere quale sia. Che dire e pretendere poi dai parlamentare ionici che in quel di Roma sono poco più di una goccia nell’oceano? Come se non bastasse, a Confindustria (accanto, di lato o di fronte è difficile dirlo) si affiancano i sindacati che mese dopo mese perdono sempre più smalto.

Certo, pagano una profonda spaccatura dovuta a visioni sulla realtà spesso diametralmente opposte. C’è chi fiancheggia senza troppi problemi di coscienza Confindustria, chi sta lì a guardare che succede in attesa degli eventi e chi cerca di mantenere la schiena dritta provando a fare il proprio mestiere. Del resto, non lo scopriamo certo noi che c’è chi ha fatto pulizia al proprio interno e chi, invece, ha continuato sulla propria strada come se niente fosse. E poi, incredibile a dirsi, ancora oggi non hanno al loro fianco gli operai. La maggior parte dei quali preferiscono stare fermi, in attesa che qualcuno dica loro cosa fare. Perché è chiaro come la luce del sole che i blocchi e la manifestazioni delle scorse settimane sono state ordinate e volute da Confindustria e che qualcuno tra i sindacati ha lasciato fare.

Certo, è strano vedere questo orgoglio operaio venire a galla improvvisamente, da un giorno all’altro, quasi a difesa più degli imprenditori che del loro futuro. Non fosse altro perché mai li si è visti manifestare uniti e rabbiosi all’indomani di un incidente in Ilva. Mai li si è visti uniti e compatti marciare per i propri diritti, sia all’epoca dei Riva che oggi. Mai li si è visti uniti nel ricordare un compagno di lavoro che non c’è più. Li si vede uniti e compatti soltanto al momento di entrare e di uscire dalla grande fabbrica. E ai tanti e continui funerali dei colleghi. Eppure, sono proprio loro ad avere le chiavi del gioco in mano. Le hanno sempre avute loro. Come abbiamo sempre ripetuto. Qui nessuno sano di mente può ritenerli responsabili o corresponsabili delle malefatte della gestione statale e della gestione Riva. O complici di politici, sindacalisti e imprenditori impresentabili ancora oggi.

Certamente non li si può pensare responsabili dei danni ambientali e sanitari. Però, da un punto di vista pratico, piuttosto che etico e morale, ancora oggi potrebbero fare tanto. Per loro, per la grande fabbrica e per la città. Nessuno meglio di loro conosce pregi e difetti dell’Ilva. Nessuno più di loro sa esattamente quanti e quali danni sono stati provocati sino ad oggi lì dentro. Nessuno più di loro sa cosa c’è sotto gli impianti del mostro d’acciaio. E nessuno più di loro può cambiare il destino dell’Ilva. Se solo in tutti questi anni si fossero uniti, diventando un blocco d’acciaio umano, a quest’ora probabilmente staremmo parlando di un’altra storia.

Loro possono bloccare l’Ilva in mezza giornata, mantenere gli impianti al minimo, incrociare le braccia e scrivere loro, di loro pugno, le priorità per provare a riparare ai danni provocati in cinquant’anni di industria siderurgica. Sono loro che possono scegliere più di ogni altro il destino della fabbrica. Invece sembrano da tempo caduti in un grande sonno. In un limbo dal quale non riescono più ad uscire. Ed in questo, ancora una volta, soprattutto i sindacati hanno le loro grandi colpe.  In tutto questo trambusto, stendiamo un velo pietoso verso chi dovrebbe informare e dire la verità ai cittadini e non solo. E su chi ha deciso, scientificamente da un lato e in preda a delirium tremens vari dall’alto, che l’unità per la società civile deve restare un obiettivo irraggiungibile. Ma a questi altri due settori della società tarantina dedicheremo prossimamente la nostra attenzione. Nel frattempo, potrebbero, almeno una volta nella vita, provare a fare le persone serie. Saluti.

Gianmario Leone (per InchiostroVerde)

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