Né deve sconvolgere più di tanto la mole dei debiti: tra quelli contratti con le banche (che per la centrale rischi di Bankitalia lo scorso settembre ammontavano a 1,5 miliardi di euro) compresi i 250 milioni di euro del prestito ponte dello scorso autunno, quelli contratti con i fornitori che lo scorso ottobre il direttore dello stabilimento Renon faceva ammontare a 440 milioni di euro, e quelli con le aziende dell’indotto e dell’appalto dislocate in tutta Italia che per Confindustria nazionale ammontano a 600 milioni di euro (150 sono i milioni di euro che le ditte di Taranto attendono ancora dall’azienda), più le perdite mensili registrate nel periodo di commissariamento (giugno 2013-gennaio 2015) i conti tornano.
Su queste colonne avevamo più volte previsto quanto sta accadendo oggi. Aveva parlato di legge Marzano già nel giugno 2013, di prossimo stato d’insolvenza e fallimento pilotato dell’Ilva dalla scorsa estate con l’entrata in campo della banca Rothschild Group dal luglio scorso, del possibile intervento di Cassa Depositi e Prestiti nell’ottobre 2012. Era tutto stato previsto. Anche dallo stesso Riva che aveva fatto i suoi calcoli per tempo, nel corso del ventennio di gestione dell’Ilva. Solo questa città, con tutte le sue componenti, continua ad attendere il corso degli eventi senza colpo ferire. Un’attesa nella quale peraltro ci siamo ricoperti di ridicolo in ogni settore. Ma questa è un’altra storia. E come scriviamo da anni, quando non servirà più agli interessi economici nazionali e locali, anche l’Ilva chiuderà. E’ solo questione di tempo. E purtroppo, anche quel giorno, rischiamo di arrivare ancora una volta impreparati all’appuntamento con la Storia.
Gianmario Leone
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