I lavoratori, infatti, sono alla totale mercé di un sistema che permette che le commesse vengano tolte ed assegnate su criteri che esulano totalmente dal fattore lavoro. In questi anni la regolarizzazione e la stabilizzazione dei precari nel settore in-bound (ovvero i call center che ricevono le chiamate) sono state barattate dai governi con incentivi alle imprese; ciò ha prodotto una proliferazione di unità e la frammentazione del settore. Finiti però gli incentivi, le aziende hanno preso a scaricare il loro rischio d’impresa sui lavoratori attraverso esternalizzazioni, appalti, subappalti (nel migliore dei casi), sino ad arrivare alla delocalizzazione.
Oggi il Governo deve confrontarsi con le paure di questi migliaia di lavoratori, paure che non si possono risolvere con un hashtag o con un selfie. Per portare il terrificante dato italiano a livelli accettabili ci voglio fatti concreti e decisioni coraggiose, in linea con quanto avvenuto nel resto d’Europa. L’attuale condizione degli operatori e operatrici di call center è inaccettabile e dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che non è più rinviabile in Italia una norma che garantisca i lavoratori nei cambi di appalto (in ottemperanza della Direttiva Europea la direttiva n. 23/2001) e che, una buona volta, tolga i lavoratori dalla tenaglia del costante gioco a ribasso dei committenti e dalla sfrenata ricerca di profitti di certi imprenditori. La Federazione Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista, sostiene la vertenza e le rivendicazioni delle lavoratrici e lavoratori del settore ed è pronta a sostenere la lotta con iniziative politiche. E’ ora di dire basta allo sfruttamento e rivendicare diritti, tutele e maggiore dignità. I lavoratori sono esseri umani, non schiavi.
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