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L’umano sistema fognario, Cosimo Argentina: “Il mio nemico è l’ipocrisia”

“Perché in fondo al di là della carne e delle ossa siamo fatti di sorrisi e inquietudine e i sorrisi sono velette messe in testa alla buona per nascondere il dolore. Sorridere, sorridere sempre, questa è la lezione che ho imparato. Ti troveranno inoffensivo e ti lasceranno in pace, e io è questo che voglio: essere lasciato in pace”.

TARANTO – Per leggere un libro di Cosimo Argentina bisogna essere immuni da ottusità mentale e perbenismo. Una volta superati questi limiti, tutto è possibile. Anche immergersi in questa storia di rabbia e distruzione che porterà il giovane Emiliano Maresca a consumare la sua vendetta nei confronti di un padre che padre non è mai stato. “L’umano sistema fognario” è un vorticoso viaggio negli abissi dell’animo umano. Un confronto con il marcio che è in ognuno di noi, anche se in diversa misura. Una sfida anche per il lettore più smaliziato. L’ipocrisia è il primo nemico dello scrittore tarantino residente in Brianza. Lo ha ribadito anche nel corso della presentazione del libro tenuta  ieri alla Ubik, un evento organizzato da Lucrezia Maggi, con la collaborazione di tre attori – Silvana Pasanisi, Axel Caponio e Michele Bramo – che hanno recitato alcune parti del romanzo pubblicato da Manni.

L’ipocrisia deve arretrare davanti alla lucidità con cui Emiliano Maresca osserva i guasti del mondo che lo circonda. Lui che ha la mente contorta di un disadattato, da sempre confinato a margini. Nella sua cameretta campeggiano i poster di Mussolini e Hitler. Sulle pareti rimbalzano i sassi sonori della musica heavy metal. Lui è brutto. Molto brutto. Si guarda allo specchio e si fa schifo. Ha una mamma malata che muore dopo aver rivelato il segreto più pesante da digerire:  la vera identità del padre, Ignazio Borgogna, un uomo che vive con la sua famiglia a pochi isolati da casa Maresca. Un padre fantasma su cui addossare tutti i fallimenti, le paranoie e le privazioni vissute in ventotto anni di vita. Una mamma, Guendalina, il cui cadavere finisce nel congelatore di casa per salvare la pensione, l’appartamento e il lavoro: le uniche certezze di un’esistenza vuota e inconcludente.

Emiliano, il “ritardato”, l’emarginato che tutti scansano (a parte due amici più strambi di lui), il ragazzo invaghito di una donna imperfetta ma impossibile da conquistare – Anansa, unica stella a spiccare nel grigiore – comincia il tragico percorso di rabbia e vendetta lasciando lungo la strada tracce di verità. Indigesta, scomoda, ma pur sempre verità. Con Taranto a fare da sfondo con i suoi veleni e i suoi dissesti: “Una città nobile disossata da una manica di macellai. Gentaglia che va allo Yachting, mette le camicie bianche, i bermuda e si tromba donne gioiello. Iene con borse di cuoio, la giacca e la camicia aperta e orologi grossi così che la sera giocano a burraco in qualche circolo o mangiano antipasto di mare crudo in quel ristorante da cento euro solo a guardarlo. Sciacallume acquattato dietro i banconi di negozi edificati sull’usura che la domenica sciama in tribuna, allo stadio, a mutarsi in una manica di pavoni”. Il linguaggio è crudo e spietato. La storia non dà tregua. Le parole sono fendenti.

«Cosa ne pensi dell’inquinamento morale e ambientale di Taranto?», mi domanda un sosia di Zucchero Fornaciari. Sorrido e scuoto la testa. «Hai ragione, compagno» fa quello, «Non c’è un cazzo da dire, ormai!».  

E forse non ha torto.

Alessandra Congedo

Foto di Pasquale Reo

 

 

 

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