Malgrado questo, si continua ad assistere a situazioni paradossali, e quest’ultima lo è davvero per diversi aspetti. In primis, Taranto sembra ancora una volta subire passivamente, senza alcuna presa di posizione da parte di chicchessia, (e parliamo ovviamente di chi si dovrebbe istituzionalmente pronunciare in tal senso) un provvedimento molto pesante nella sua evidente gravità: mai si era verificato, prima d’ora, che l’azienda operasse la messa in sicurezza degli impianti così come sta accadendo in questi giorni, preannunciando di fatto un fermo complessivo. E tutto questo, nel silenzio più generale e assoluto.
Il secondo aspetto è per certi versi ancora più controverso: la condizione attuale nasce infatti dall’annunciata messa in mora dello stabilimento da parte dell’Eni –uno dei principali e più grandi fornitori dell’Ilva- per i pagamenti futuri, come se si trattasse –come già qualcuno ha avuto modo di osservare – di un condomino a rischio di morosità di un qualsiasi edificio privato, e non della più grande acciaieria europea.
Accade così che L’Eni, partecipata dal Ministero dell’Economia e Finanze, chiuda i rubinetti ad una grande azienda che è già da tempo commissariata dal Governo (con un apposito decreto convertito in legge): appare, a tutti gli effetti, come il gatto che si morde la coda, e da questo paradosso nasce il rischio che si produca, a meno di interventi tempestivi proprio da parte del Governo, una situazione di grave irreversibilità, che si aggiungerebbe a quella già fortemente critica che investe altri comparti e altre situazioni da troppo tempo in sofferenza.
E’ il caso di ricordare, infatti, che mentre un grande fornitore – le cui sorti economiche non sono certo legate all’Ilva – paventi il taglio delle forniture di metano per i crediti 2015, l’esercito dei piccoli fornitori – l’indotto tanto per intenderci – stia letteralmente dissolvendosi a causa dei reiterati ritardi del pagamento dei crediti ampiamente scaduti, nonostante le rassicurazioni in tal senso giunte nei giorni scorsi circa lo sblocco della seconda tranche del cosiddetto prestito ponte, che avrebbe dovuto garantire una boccata d’ossigeno di fatto solo annunciata.
Il timore in sostanza è che, in attesa dell’imminente decreto attraverso il quale dovrebbero essere definite le sorti dell’azienda (con una probabile soluzione pubblico-privata), si corra seriamente il rischio di risolvere la questione attraverso le vie di fatto dello spegnimento pressoché coatto, che è quello che si sta paventando in queste ore. A meno, lo ripetiamo e lo auspichiamo, di un intervento risolutore e imminente da parte del Governo che imprima un brusco e dovuto stop ad una situazione in pericolosa ed evidente discesa libera.
CONFINDUSTRIA TARANTO
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