L’eurodeputata, dopo aver ottenuto l’accesso agli atti delle concessioni, ha scoperto che “all’Ilva è stato concesso di sfruttare 931mila metri quadrati di aree demaniali a un costo di 0,5 euro al metro quadrato: praticamente meno di un’ora di parcheggio a Taranto, giustificato con la motivazione che le movimentazioni delle merci Ilva ‘determinano notevoli entrate in materia di tasse a favore sia dello Stato che dell’Autorità portuale'”.
“Tutto ciò – conclude – dimostra l’urgenza di salvare il porto di Taranto dall’assedio della grande industria. La gestione delle concessioni demaniali andrebbe fatta secondo gli interessi e le esigenze legate all’uso pubblico e non del privato che impedisce una reale diversificazione dei traffici. Il porto torni ai tarantini “.
PER SAPERNE DI PIU’ SULLA RICHIESTA DI REVOCA:
Mentre restiamo in attesa da parte dell’Autorità Portuale di ricevere lo “Studio sull’analisi del sistema infrastrutturale/intermodale del porto di Taranto” effettuato dalla società Price Waterhouse Coopers Advisory SpA di Milano, per verificare quanto e come siano in realtà utilizzate le banchine e le strutture portuali, la lettura delle concessioni demaniali rilasciate all’ILVA ci impone una semplice considerazione: ci sono i requisiti per dichiararle decadute o revocate.
Innanzitutto ai sensi dell’art.10 lettera c) della concessione n.05 del 2000 per “reiterate violazioni delle norme di tutela dell’ambiente”, le cui vicende sono oramai note.
A questo si somma la violazione dell’art. 46 comma terzo del Codice della Navigazione, così come richiamato dalla concessione n.05 del 2000, per cui “in caso di morte del concessionario gli eredi subentrano nel godimento della concessione ma devono chiederne la conferma entro 6 mesi, sotto pena di decadenza.”
Dagli atti in possesso non risulta che ciò sia avvenuto, considerato che parte della famiglia Riva ha già rinunciato all’eredità, facendo decadere la concessione. Sempre a proposito degli eredi, altra motivazione di revoca risiede nell’articolo 46 del Codice della Navigazione, per il quale l’amministrazione può revocare, in ogni caso, le concessioni “per ragioni attinenti all’idoneità tecnica od economica degli eredi”.
Dagli atti in possesso risulta la violazione dell’art.9 della concessione n.05 del 2000, in quanto ILVA S.p.A. non si è impegnata a “provvedere a sua cura e spese e per tutta la durata della concessione, alla manutenzione ordinaria ed alla necessaria manutenzione straordinaria di tutti i beni in concessione e di quelli costruiti, ivi compreso il mantenimento dei fondali, osservando le prescrizioni che all’occorrenza fossero dettate dal concedente nell’ambito delle proprie competenze…per…la tutela del pubblico demanio”.
Infine, così come già avvenuto in passato quando la Nuova Italsider S.p.A. ha riconsegnato 360.000 m2 su richiesta dell’Autorità Portuale per la diversificazione delle attività portuali, ai sensi dell’art.3 della concessione n.05 del 2000, si possono revocare le concessioni in quanto vi sono i “motivi inerenti il pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse”.
Il porto di Taranto ha bisogno di recuperare aree per favorire lo sviluppo del territorio che non sia legato alla grande industria inquinante, rilasciando concessioni demaniali senza il tanto vituperato “diritto di insistenza”, che favorisce sempre gli stessi concessionari, condannato dall’Europa ed in maniera da diversificare ed ampliare le opportunità per la nostra città.
NOTA STAMPA
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