“Superando le incertezze del governo – scrive nel suo blog – l’emendamento al decreto Competitività ha chiarito a quale titolo (“in conto futuro aumento di capitale”) il commissario avrebbe potuto attingere a quei fondi e ne ha fissato il campo di utilizzo (“il risanamento ambientale”). Dobbiamo dunque cantare vittoria? Non ancora. I fondi dei Riva sono custoditi all’estero e non sarà facile riuscire a incassarli. Se tuttavia si arriverà rapidamente al risultato pratico, salvare l’Ilva sarà sempre difficile, ma un po’ meno di prima. Le banche, in particolare, potranno versare anche la seconda parte del prestito ponte e riaprire rapporti di finanziamento normali con la società. Nell’attesa, deve rimanere alta la vigilanza sul processo di cessione delle attività produttive dell’Ilva”.
Aggiunge Mucchetti: “Entrambi i pretendenti devono chiarire aspetti cruciali dei loro piani: ArcelorMittal deve spiegare, prendendo gli impegni formali del caso, perché intende aggiungere capacità produttiva aggiuntiva per 8-10 milioni di tonnellate annue al suo gruppo che ha già eccedenze di produzione; il gruppo Arvedi deve chiarire con quali risorse finanziarie e manageriali gestirebbe l’Ilva posta la natura ancora familiare dell’impresa e l’indebitamento finanziario elevato, mentre sono in corso negoziati tra lo stesso gruppo Arvedi e la Cassa depositi e prestiti. Se si fosse dato corso al piano Bondi, che prevedeva l’acquisizione di quei denari e la sperimentazione della nuova tecnologia del preridotto, oggi l’Ilva sarebbe più forte. Il governo ha deciso di bruciarsi i vascelli alle spalle decidendo di vendere comunque e subito, con ciò riducendo al minimo il potere contrattuale del commissario a favore dei compratori. Speriamo nella fortuna”.
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